C’è una costante che si ripete in questa città: quella di escogitare strade e di intraprendere vie in controcorrente rispetto a quanto sperimentano altre località, nello stesso momento.

Città anche vicine a Teramo abbandonano determinate formule, proprio in contemporanea a quando la città aprutina le scopre.

C’è da interrogarsi sulle tendenze che animano questo capoluogo.

Perché mi è balzata alla mente  questa considerazione?

Cercherò di farmi capire.

A giugno del 2018 le elezioni amministrative svoltesi a Teramo si conclusero con una inaspettata “rimonta” in fase di ballottaggio, della componente di Centrosinistra sul Centrodestra, data per vincente.

Ricordo che in quella competizione Teramo ebbe un esito favorevole per il centrosinistra e quell’affermazione potette condividerla con le sole  Ancona e Brindisi.

Com’è noto, nel resto dell’Italia la maggioranza dei risultati  se li assicurò il centrodestra.

Quale fu la parte dell’alleanza del centrosinistra che trainò alla vittoria Gianguido D’Alberto?

Una triade di liste civiche che interpretarono una voglia dell’elettorato di andare in direzione di quel cambiamento che certamente non era rappresentato dai partiti.

Il civismo democratico divenne quindi il traino per attuare quella discontinuità dalle segreterie politiche, impegnate a stipulare accordi che si definivano lontani dall’Abruzzo e da Teramo nello specifico.

La città aveva dato un segnale che non dava adito a dubbi: il popolo, è bene ricordarlo, in fase di ballottaggio, quando poteva esercitare il proprio diritto di voto al di fuori delle appartenenze, credette nel messaggio del superamento di vecchie logiche imperanti che avevano determinato  lo scollamento del municipio dal vivere quotidiano, fatto di interessi ma anche di orgogli, di appartenenze alla propria identità ma anche di speranze in una rinascita del capoluogo aprutino, che aveva alla sue spalle un terremoto rovinoso ed una crisi ancora lontana dal suo estinguersi.

Sì, un partito era anche presente nell’alleanza di centrosinistra, ma non aveva neppure conseguito il maggiore consenso nell’ambito dell’alleanza: la lista civica, espressione del candidato Sindaco, aveva infatti riportato il maggior numero di preferenze.

Questi i fatti, che con alterne vicende e con qualche fibrillazione, avevano comunque accompagnato questa città fino alla conclusione dell’anno 2019.

Evidentemente, però, questa composizione della maggioranza doveva sembrare indigesta a quanti “di politica ci campano” e che non avrebbero saputo che farsene della Teramo che era riuscita ad affermarsi e che aveva “relegato” all’opposizione un centrodestra che era stato così poco attento agli umori della cittadinanza.

Come si sarebbe dovuto interpretare questo cambiamento nell’assetto della maggioranza? I cittadini chiedevano a gran voce l’agorà, la ripresa della propria centralità, il rispetto per un proprio sentimento di appartenenza, soprattutto in un quadro di assetti amministrativi in provincia ed in Regione, le cui rispettive giunte erano ( e sono) di segno opposto.

Cosa accade invece? Sono dati recentissimi , forse non ancora del tutto conosciuti dalla cittadinanza.

Quella composizione della giunta che aveva nel civismo democratico il suo zoccolo più significativo, improvvisamente si restringe.

Avviene innanzitutto per effetto della dissoluzione di una rappresentanza civica: quella di Teramo 3.0 che scompare per lasciare spazio ad un partito che non era neppure presente nella fase dell’avvio.

Il riferimento è per “Italia Viva” che fa l’ingresso in consiglio comunale ed in giunta a spese di formazioni esistenti che registrano un dimagrimento della propria rappresentanza.

Non basta: ad aggravare il quadro, la lista civica che ha espresso il Sindaco, è attraversata da lacerazioni e da subbugli che non lasciano ben sperare.

Per non farci mancare nulla, valutazioni sull’allargamento della giunta a vantaggio dell’allora candidato antagonista di D’Alberto, Giovanni Cavallari e dell’altro competitor Mauro Di Dalmazio.

Insomma un quadro molto rimaneggiato  rispetto all’assetto del 10 giugno 2018.

Vogliamo dare uno sguardo a ciò che accade fuori dalle mura aprutine? Solo pochi giorni ci separano dalla consultazione elettorale che vedrà due importanti regioni, l’Emilia Romagna e la Calabria, chiamate al rinnovo dei rispettivi consigli.

C’è una parte dell’Italia che ha preso consapevolezza che la Lega, insieme ai Fratelli d’Italia ed a Forza Italia, esprimono una politica lontana dai bisogni dei territori, riuscendo ad estorcere il voto dai cittadini con slogan inneggianti all’odio, alla difesa dei confini nazionali ed alla ripulsa verso le diversità, a qualsiasi livello: dagli extracomunitari agli ebrei, agli omosessuali, addirittura ai portatori di disabilità.

Cosa ha prodotto questa strategia di conquista del potere? La nascita di un movimento,  quello delle sardine, che da metà novembre a metà gennaio, è esploso in modo incontenibile, al punto da registrare adunate di sostenitori che professano una politica gentile e avversa all’odio, non solo in Italia, ma anche all’estero: Madrid, Parigi, Amsterdam, perfino San Francisco hanno concesso piazze al popolo delle sardine.

Teramo anche in questo caso si contraddistingue per andare controcorrente: riducendo la rappresentanza delle forze che interpretano le sensibilità della gente ed aprendo spazi politici a coloro che mostrano una propria insofferenza nel dover rispettare un responso che li ha relegati all’opposizione e che scalpitano per rientrare in cabina di regia.

Ernesto Albanello