GIULIANOVA – “Prima o poi certi nodi vengono al pettine, è solo una questione di tempo e nel Consiglio comunale del 30 luglio scorso finalmente questo malloppo (altro che nodo) si è rivelato. La democrazia partecipativa non ci piace; non crediamo nell’urbanistica partecipata, né nel bilancio partecipativo, né nei comitati di quartiere eletti a suffragio universale. Ci piacciono le associazioni di quartiere che vengono a chiederci le cose, poi noi gliele diamo se sono nostri amici, ma se ci criticano no. Eppoi, la democrazia è nelle urne, per cui una volta che si è votato i cittadini non devono avere più niente da dirci e se ne stiano buoni fino a quando non si vota di nuovo. I Forum? Che li facciano pure, gli diamo anche il patrocinio, ma nessuno pretenda che noi ne teniamo conto, non ci crediamo perché sono strumentali e troppo liberi (figurarsi, ci vanno anche il Cittadino Governante, gli anarchici e i comunisti radicali…); ci criticano, vogliono interloquire, confrontarsi mentre noi sappiamo bene da soli cosa fare. Che diamine, abbiamo preso i voti. Le proposte di Iniziativa Popolare? Vero che sono previste da un regolamento, vero che sono state raccolte oltre milletrecento firme, ma a noi non piace questo movimento di persone, veniteci a trovare e chiedeteci cosa vi serve come fanno le associazioni nostre amiche, così da fornitore a clienti ci mettiamo d’accordo. Che la gente si agiti con le raccolte di firme non ci piace per niente”. L’intervento è di Carlo Di Marco, docente di Diritto Pubblico all’Università di Teramo ed impegnato da anni sui temi della democrazia partecipativa, che con queste parole ha inteso esprimere che “il senso del discorso politico che è emerso nel Consiglio comunale (di Giulianova, ndr) da parte della maggioranza che governa questa Città è esattamente questo”.

“Che dire, meglio di così non poteva andare: hanno anche ammesso che i procedimenti istruttori delle Iniziative popolari non possono essere aperti perché la Commissione di Garanzia è scaduta nel 2021 e non è mai stata rinnovata. Se leggessero gli strumenti normativi di partecipazione, saprebbero che senza questo organismo nessuna partecipazione potrebbe funzionare: non funzionerebbero referendum, proposte di iniziative popolari, comitati di quartiere, consiglio comunale dei ragazzi ecc. Lo sa la Segretaria comunale che in Consiglio lo ha detto – incalza Di Marco – ma lei è una giurista e sa leggere le norme di questo ordinamento, i politici invece si sono arrampicati sugli specchi. Un ringraziamento al Consigliere Di Massimantonio che la democrazia partecipativa l’ha difesa a spada tratta. Ora, per coerenza, dovrebbero anche dirci che ne sarà del dettato statutario e del regolamento per la partecipazione. Tutti sanno, infatti, che su questo tema contengono obblighi giuridicamente rilevanti per il Comune. Il bilancio partecipativo, ad esempio, non piacerà, ma è un percorso democratico che dovrebbe essere promosso e compiuto ogni anno (così si fa a Grottammare, caro Sindaco, visto che questo modello ti piaceva in campagna elettorale). Atteso che non si è mai fatto, chissà che qualcuno prima o poi non porti le carte da un giudice? Eppoi, l’Amministrazione non può promuovere associazioni amiche nei quartieri, il Sindaco, invece, deve aprire i termini per l’elezione diretta dei comitati. E le assemblee pubbliche che il Sindaco deve convocare una volta al mese per rendere conto ai cittadini? Nessun sindaco ne ha mai promosso una. Abolitelo questo fastidioso sistema normativo di partecipazione, siate coerenti fino in fondo, visto che avremo modo di ricordarvi ogni volta che esiste. Ma va bene così: ora non solo è tutto chiaro (per me era chiaro fin dall’Amministrazione Mastromauro) ma ora è tutto stato detto apertis verbis in Consiglio comunale  da questa maggioranza vincente. L’esperienza della Democrazia partecipativa nella nostra Città, al momento, può dirsi conclusa: questa maggioranza non la incoraggerà, non la promuoverà e non darà ascolto alle iniziative partecipative promosse dalle associazioni”.

“Detto questo, però, non posso esimermi dal rimarcare che questo affossamento del patrimonio democratico – ora giacente in un pozzo – proviene da un retaggio precedente e denota l’esistenza di un male trasversale che trafigge la classe politica che governa. Con l’ultima l’Amministrazione comunale di sinistra – spiega ancora Di Marco – nella sua seconda fase, era già iniziato il processo di affossamento che oggi vede il triste epilogo: la realtà democratica e partecipativa fu privata di ogni risorsa finanziaria; i Comitati di quartiere scaduti non vennero rinnovati; le proposte della Consulta della partecipazione furono ignorate. Un ripensamento? È molto probabile, anche lì, infatti, si contestava la ‘politicizzazione’ di qualche Comitato di quartiere ritenuto ‘non amico’. Il quadro che emerge oggi è preoccupante: i nostri politici, certamente quelli di destra, ma anche una consistente parte di quelli di sinistra, credono di vivere ancora nel sistema politico liberale in cui vigeva una ‘democrazia’ meramente rappresentativa (gli elettori votano poi ci pensiamo noi) in cui il Parlamento era espressione di una minoranza della classe borghese (quella più ricca). Ebbene, sappiano i nostri politici che la democrazia pluralista nata dalla Resistenza con la Costituzione del 1948 (quella su cui giurano) ha abbattuto la democrazia liberale per far spazio a quella rappresentativa, partecipativa e referendaria. Una cosa molto diversa: un passaggio storico epocale che purtroppo sfugge ai più. Sovrano, poi, è diventato il popolo, cioè tutti: né gli elettori, né i partiti, né il Governo, né il Parlamento. Proprio per questo, la partecipazione popolare oggi non è minimamente un optional di cui si può fare a meno, è un bisogno di questa democrazia. Essa non può fare a meno della rappresentanza, né della partecipazione, né della diretta espressione referendaria dei cittadini. Il ritorno indietro è verso l’autoritarismo”.

“Ultima considerazione, anzi una domanda che vorrei suonasse come un appello: visto che a Giulianova questa maggioranza è così ben decisa a seppellire l’esperienza partecipativa sotto metri e metri di terra, non sarebbe giunto il momento di unire le forze di quanti nella partecipazione pluralista credono veramente per salvare questo patrimonio? Credo di potermi rispondere da me: si, questo momento è arrivato. Si apra un tavolo paritario, con le diversità e le dignità di ciascuno; si inizi un confronto colloquiale senza le proprie autoreferenzialità, gli odi personali e i risentimenti. Il momento è gravissimo sia a livello locale che nazionale. È in gioco la democrazia”, conclude Carlo Di Marco.