Diminuiscono i malati e i morti è vero. Ma solo per effetto delle misure dure di distanziamento sociale. Con questa spada di Damocle si avvicina la prova dell’estate. Sotto questo ricatto, che pesa sulle condizioni di ripresa, resta in pericolo il lavoro per molte aziende.

Ha senso “festeggiare” in un Paese piagato da un virus malvagio ? Il lavoro è alla base dell’articolo 1 della Costituzione, ma non è realmente presente nell’assetto della società.

Ha senso celebrare la “Festa dei lavoratori” in un Paese gravato da una pesante crisi industriale pre – virus, dove un giovane su tre è disoccupato e sono stati bruciati milioni di posti di lavoro ?

E’  giusto fare “festa” o questa rischia di diventare un rituale fuori dal tempo con i nuovi sfruttati, le tutele spezzate, il caporalato digitale, contratti precari, mancanza di prospettive e per il deserto economico e di speranza col quale sono costrette a fare i conti i giovani, ma anche per le continue umiliazioni della propria dignità e delle proprie competenze che devono subire in ogni ambito. Il lavoro era, già prima dell’epopea del Covid, il grande assente a Teramo.  Crisi aziendali ovunque. Coraggiosi sindacalisti che si battono con una politica assente su cui pesano come macigni le intercettazioni pescaresi di un trojan nel telefono di un medico morto. Già prima del Covid Teramo era per i giovani una città della precarietà, dove molti si sono accomodati nel dolce far niente di un misero e deludente reddito di presunta cittadinanza, con un vero e proprio boom di contratti a termine, tante opportunità di “lavoretti” per poche ore settimanali, tantissimo lavoro nero… una città dove di lavoro parlavano solo i sindacalisti Mirko & Marco, poco ascoltati .

Ha senso fare “festa” nell’epopea drammatica post Covid tra le incertezza e le paure per commercianti e piccoli imprenditori abruzzesi che, ancora oggi si ritrovano ad alzare le serrande già consapevoli di dover combattere con gli squali feroci della Agenzia delle Entrate, oltre che con il virus, sul fronte economico e quello sanitario.

Ha senso fare “festa” se chi è già duramente provato da mesi di stop, teme di non poter riaprire o dover chiudere.

Ha senso ha fare “festa” per le partite Iva, come me, che fino ad oggi da 14 mesi sono a casa percependo una parte del presunto bonus da 600 euro che è servito appena a coprire le spese quotidiane tra bollette, affitti e tasse di un fisco che proprio da oggi tornerà ad aggredire chi è in difficoltà come una belva feroce.

Ha senso ha fare “festa” nel cuore produttivo teramano, con aziende la cui crisi fotografa il “fermo” di un territorio , da sole rappresentano lo status reale dell’economia della Provincia fatta di industria, agricoltura, turismo, impresa e sacrificio.

Ha senso fare “festa” tra bar e ristoranti aperti a metà o chiusi a metà, fate voi . Ma non ci sono solo i ristoranti, sono tante le attività che si troveranno davanti ad un bivio: sono tanti i negozianti, dall’abbigliamento ai casalinghi, e poi i parrucchieri, le estetiste, che oltre a tutti i problemi di riapertura, i kit di protezione, la sanificazione e chissà che altro, avranno i clienti ? E le palestre che riaprono a giugno avranno soci ? I cinema/teatro invece a Teramo proprio non riaprono. A metà maggio il cinema Smeraldo, a inizio autunno il teatro Comunale.  Come ho già scritto diverse volte La stagione è ormai finita e, soprattutto, è complicato far ripartire un teatro rispettando le nuove specifiche relative a impianti di aerazione, spazi, ingressi, uscite, flussi di persone, distanziamento. Non si fa dall’oggi al domani. Se ne riparla per la stagione 2021-22 ». Inoltre, se pure dopo l’estate varranno i limiti di pubblico, non sarà semplice allestire le stagioni teatrali e invitare grandi compagnie. «Certi prodotti diventeranno economicamente insostenibili», dice, «se resterà il limite del 50% dei posti, la stagione di prosa che organizziamo a Teramo con la Riccitelli potrà contare solo su 400 posti al Comunale e per sistemare tutti gli abbonati si dovrebbero fare sei repliche anziché tre, con aumento delle spese».

Ma soprattutto ha senso fare “festa” se c’è gente che non ha soldi per mangiare?

Ha senso fare “festa” in una città aggredita dall’usura con il 34% delle famiglie con un reddito sotto la soglia di povertà, pari a meno di mille euro al mese, così come il 78% degli anziani ha una pensione che non supera i 750 euro mensili.

Ha senso fare “festa”  in un Paese in cui tra i lavoratori autonomi che hanno richiesto, e ottenuto, il bonus dei 600 euro erogato dall’Inps per far fronte all’emergenza coronavirus,  il 29%  non “è davvero bisognoso di avere un aiuto”. E  sono solo i primi accertamenti .

Ha senso fare “festa” con un turismo in ginocchio e dei costruttori che vogliono mettere le loro zampe su Roseto?

A pensarci bene vengono le vertigini, le lacrime, lo sconforto, la rabbia. Ma queste non bastano e non servono. La crisi del nostro mondo del lavoro, del turismo e del commercio, presenta numeri ben oltre il contesto nazionale, addirittura numeri drammatici, tra le pieghe della povertà.  Le risposte date e fornibili sono del tutto inadeguate e tutte celate dietro il paravento lacero della crisi .

Teramo vive una crisi economica e del lavoro grave, come mai prima dal dopoguerra. Nel contesto di una crisi industriale nazionale senza precedenti, con un forte impoverimento collettivo ed emarginazione sociale. Dove aumenta solo l’alcolismo e la droga. Molte e sempre più famiglie non riescono ad arrivare a metà mese e a curare gli anziani. I lavoratori hanno perso tranquillità e dignità, la disoccupazione giovanile supera il 50%  e i giovani laureati per trovare lavoro sono costretti ad emigrare.

Ha senso fare festa mentre chiudono artigiani e negozi storici, e commercianti del centro. E occorrono risposte rapide e concrete. Ma non facili. Occorre più credito ma le banche sono figlie del diavolo e l’umanità non gli appartiene. Anzi nella crisi drammatica dei disperati gli avidi acchiappa soldi delle banche locali hanno fatto si che il credito abruzzese abbia subito una forte restrizione.

Questo 1° maggio, al pari di molti altri, a dire il vero, sarà dunque un momento di tristezza, l’omaggio a un qualcosa che non c’è più, un emblema del vuoto nel quale siamo immersi, un inno all’assenza, al dolore e allo strazio per tutto ciò che abbiamo perduto in questi anni.

Proprio per tutte queste ragione ha senso “festeggiare” il lavoro. Festeggiare i lavoratori. Perché bisogna resistere, lottare, sperare, credere ancora nel futuro perché questa è ciò che ci permette di resistere al male. E’ giusto fare festa, sempre, come si può, a tutti i lavoratori.  Soprattutto fare festa a  tutti i giovani che un lavoro vero lo cercano, e non si accontentano di elemosina .  Ricordandoci sempre che nessuno si salva da solo. Restiamo umani, siamo tutti fratelli.

Leo Nodari