Ha un bel dire Papa Francesco “Fratelli tutti”. Si sgola in ogni occasione per parlare di speranza, giustizia, carità. Vaccini per i poveri e in tutto il mondo. Barcolla, si piega, soffre ma non smette di raccomandare di assistere chi ha più bisogno. Tutto bello.

Poi arriva con la forza brutale, cattiva di un tuono, il Presidente della A.N.M., un amico di Palamara, e nel triduo pasquale esclama con forza e minaccia “Siamo magistrati. Ce dovete da vaccinà prima. I magistrati si, ma gli avvocati no”. Oggi, davanti alla presa di posizione del ministro Cartabia, sommerso dai “vaffanculo” che fioccano da ogni fronte, davanti all’immagine mite, sobria, composta del Presidente Mattarella, accortosi che ogni cosa ha un limite, ed è andato oltre i limiti della vergogna, recede e fa un passo indietro. Ma sono molti, anzi moltissimi, i magistrati che dissentono e prendono le distanze come la presidente dei gip di Milano Maccora. Sarà perché da milanese conosce la storia manzoniana di Don Rodrigo. E non le piace vestire quei panni.

La letteratura e l’arte, da sempre, fin dai tempi di Tucidide e la sua “Peste di Atene”, hanno raccontato “la morte invisibile” dal punto di vista fisico e, soprattutto, morale. Dal Vangelo a Francesco di Assisi, dai “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni al “Decameron” di Giovanni Boccaccio, passando per “La peste” di Albert Camus, il tema del “male ignoto” ha sempre ricoperto un ruolo importante. La peste, la lebbra, oltre ad essere state malattie che hanno provocato, in passato, milioni di morti, nella letteratura è stata quasi sempre simbolica. Orizzonte di un’umanità egoista allo sfacelo.

Ovviamente nessun paragone è possibile, tra il virus di oggi e la peste manzoniana. In questi giorni – ma anche domani – rileggere i Promessi Sposi può essere utile. Se ne parla molto. “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti…”. I promessi sposi non sono solo un celebre romanzo storico di Alessandro Manzoni, ritenuto il più famoso, e il più letto, tra quelli scritti in lingua italiana. Pubblicato nel 1840, il testo è anche un passaggio fondamentale nella nascita della lingua italiana. Illuminante e di straordinaria modernità. Sembra di essere al presente. E’ interessante vedere come viene raccontato il flagello che sconvolse la città di Milano nel 1630. Tra le memorabili pagine del Manzoni, vien fuori quasi subito l’idea che l’epidemia sia anche il sintomo di un decadimento morale. Vi troviamo tutta la tragedia che stiamo vivendo in questi giorni. Lo scontro violento tra le autorità; la caccia ai responsabili dei ritardi; le voci incontrollate di terapie miracolose ; la ricerca spasmodica del vaccino per se e “a fanculo” tutti gli altri; il disprezzo per la giustizia; i rimedi più assurdi ma fonte di guadagno; la razzia di ogni dignità e umanità residua; l’emergenza sanitaria. Nelle pagine dedicate alla peste, troviamo ciò che leggiamo oggi. La paura. La provvidenza. La speranza. I furbi malvagi. La fede. L’arroganza dei potenti. La colonna infame. L’estrema povertà che avanza e le privazioni in cui una parte del popolo si trova dopo un anno di terribile carestia. Questo grande romanzo ci regala pagine memorabili, e sembra scritto oggi per come descrive i grandi movimenti dell’anima, così come quelli più biechi, che entusiasmano e dilaniano l’uomo.

L’avvelenamento della vita sociale, l’imbarbarimento del vivere civile e dei rapporti umani . E vi troviamo i suoi personaggi, dipinti in maniera fantastica. Frà Cristoforo che si immola, tanto simile a chi vive oggi in prima linea. Il furbastro azzecca garbugli con i suoi 4 capponi, simile a tanti furbastri di oggi che si vanno ad infilare per fregare il prossimo e passare prima. Don Abbondio il vile e meschino, tanto simile ai preti di oggi e a chi non sa dire di no all’amico degli amici dell’amico. Lucia simile a tante madri che vedono i loro figli soffrire la solitudine e donne che vedono i loro mariti senza lavoro, e soffrono in silenzio. Renzo il filatore, il giovane rimasto senza lavoro, rabbioso ma insicuro, come i ragazzi di oggi. L’innominato, il potente che intuisce i segnali di Dio e riflette sul senso della vita che ha buttato.

Ma soprattutto, Don Rodrigo, il signorotto, l’uomo che amministrava la “giustizia” nel contado. Il guappo capo dei guappi, che schiaccia chiunque, che impedisce un matrimonio per uno sfizio. Don Rodrigo, il politico ignorante e prepotente di oggi, che crede di poter fare qualsiasi cosa minacciando, contando sulla viltà e la paura del popolo, che addomestica le leggi a piacimento, che stabilisce cosa si può fare e cosa “non s’ha da fare”.

Mi sembra di vederlo don Rodrigo, il malandrino che usa dei “bravi”, dei servi, per realizzare i suoi progetti malsani. E da questi viene infine tradito quando il progetto divino comincia a realizzarsi.. Don Rodrigo è il prototipo del politicante di oggi. Un bandito da niente, che sfrutta la complicità di chi resta a guardare in silenzio. Don Rodrigo è anche, soprattutto, il personaggio che serve al Manzoni per aiutarlo a far primeggiare l’idea “egualitaria”, tipica manzoniana. Don Rodrigo “serve”, ci aiuta a capire bene che l’epidemia non risparmia nessuno, non fa differenza tra ricchi e poveri, buoni e cattivi. Che la follia, l’egoismo, la furbizia, non ha confini. Colpisce senza distinzione, giovani sconosciuti, malati, i ricchi calciatori e poveri vecchietti.

Oggi, lo sappiamo, nella realtà non è più così, perché si muore di più dove c’è miseria, abbandono, solitudine. Don Rodrigo, con la sua morte in miseria, abbandonato, nudo nell’angolo buio di un lazzaretto buoio, ci aiuta a capire bene che ogni virus, imprevedibile, riporta in prima linea i contenuti di fondo della nostra vita. Ora che i contagiati potremmo essere noi, rifiutati, respinti, rigettati, riflettiamo sul destino dell’unica razza: quella umana.

Don Rodrigo siamo noi che abbiamo paura, panico, che viviamo con l’ansia, mentre il clima barbarico del “male invisibile” ha preso possesso delle nostre città. Don Rodrigo siamo noi ora che il vivere civile sembra sospeso, l’epidemia del virus, sembra rappresentare nel contempo, una sorta di malefica sfida, ma anche una epocale occasione. Sapremo coglierla ? Sapremo guardare la malattia come quel temporale che squassa, ma fa pulizia. La pioggia che, nel finale dei Promessi Sposi, lava via il contagio è simbolica di questa pulizia dentro il dramma della pestilenza. Don Rodrigo siamo noi.

 

di Leo Nodari