Questa storia infinita della violenza sulle donne, va inquadrata nel suo scenario consono, che è pari ad un mosaico le cui tessere disegnano un quadro a varie tinte, ma i colori che predominano, ci restituiscono una cromatura di responsabilità non compiute e di immaturità coccolate.

Comincerei con la tessera che noi psicologi indichiamo come “invischiamento” : Quando accade che una famiglia è “invischiante” ? Quando, ad esempio la madre stessa, forse in aperta disputa con il padre, vuole che il figlio maschio sia modellato secondo parametri che la madre stessa individua come “il vero uomo che avrebbe voluto accanto a sé”.

Nella misura in cui noi siamo benevoli verso noi stessi, per la proprietà transitiva, facciamo sì che chi nasce da noi, assuma un carattere vincente.

Ne consegue che il figlio viene salvaguardato da tutte le esperienze critiche, da ogni possibile errore, affinché consideri la sconfitta come una ipotesi davvero remota.

La “personalità vincente” è quanto di più fragile si possa concepire.

La Danimarca ha un sistema di istruzione che prevede interi programmi imperniati sull’errore e sulla necessità di vivere questa esperienza.

Crescere con una propensione ad essere vincenti comunque e ad ogni costo, diventa il “terreno fertile” su cui prosperano male piante come il bullismo, che è una autentica palestra per una crescita che poi sfocerà nella personalità maltrattante.

Quando il maschio, che ha escluso dal suo raggio di percezione, qualsiasi eventualità che possa ricordargli che è “imperfetto”, che può e deve anche saper perdere, che dalla sconfitta si creano le condizioni perché il cervello elabori una via di uscita che si chiama “opportunità” e che questo lavorio mentale va sotto il nome di resilienza, allora saluteremo con un sorriso e con un brindisi una nuova stagione…quella del maschio che riconosce sé stesso come soggetto con dei limiti.

Da questa consapevolezza di sé, sarà in grado di osservare la donna come una espressione vivente della forza di adattamento, della capacità mirabile di accettare le sfide e di vincerle, come quella di saper coniugare la maternità con una attività in cui si riconosce, perché creativa e profondamente espressiva dei talenti che si porta dentro.

Il maschio che maltratta è un maschio bloccato, è come un topo che si trova in un vicolo cieco, che sente di non avere scampo, intanto che ha la femmina che lo incalza, lo richiama alla sua responsabilità, al fatto che non è cresciuto e deve imparare a maturarsi.

Tutto questo fa male! Certamente meno di un travaglio in sala parto, ma l’uomo non ha fatto simili esperienze ed allora si volta all’improvviso e si scaglia contro quella donna che, a parer suo, non gli dà scampo, mentre invece, lo sta spronando ad uscire una volta per tutte, da quella maschera che si è costruito.

La tragica e schizoide percezione che l’uomo ha della donna è che la madre è una entità superiore che va rispettata ed accettata anche se non sempre condivisa, la sorella va salvaguardata e protetta anche se alcune volte sfidata ma solo all’interno delle pareti domestiche. Tutte le altre donne vengono considerate come “prede” da possedere e non delle anime da ascoltare.

L’invischiamento purtroppo si verifica anche quando la donna è tollerante e rassegnata a seguito dei maltrattamenti che non merita, ma che subisce come un obolo, comunque, da pagare se vuole avere il privilegio di disporre di un maschio accanto.

Un maschio che dovrebbe proteggerla e difenderla, non maltrattarla e violentarla, aggredirla fino ad ucciderla.

Da Teramo nasca un laboratorio per la maturazione nell’uomo e per il recupero della dignità nella donna.

Altrimenti staremo ancora per anni a celebrare drammi orrendi come donne barbaramente uccise solo per non essersi accorte di avere al loro fianco uomini che dicevano a queste compagne, mogli, amanti, partner di amarle, ma in fondo serbando nel loro intimo il solo proposito di possederle e di considerarle traditrici quando non sono in grado di sopportare un calvario e provano a ribellarsi per evitare di subire sottomissioni che impediscono di vedere una luce al fondo del tunnel.

Ernesto Albanello