Quanti ne fa di guai la sconfitta, quanti livori, quanti colpi bassi, quante girate di spalle. Così commentando il risultato elettorale del 25 settembre, e il risultato decisamente deludente rispetto alle aspettative – almeno a quelle pubblicamente annunciate – del Pd abruzzese  e teramano, elitario e antipatico, che si avvia a fare la fine del partito socialista francese, parafrasando Montale Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”.

Giusto precisare per il consigliere Mariani, che non mi legge, che Montale è uno scrittore Premio Nobel. Poi è accaduto quello che sappiamo. E come ho scritto e riscritto la buona sorte attraverso il “flipper” di una legge elettorale truffa, bastarda e illegittima (non solo secondo me)  ha sorriso a Roseto. Ovvio, dispiace e tanto per la brava Stefania Di Padova. Ma quanto sarebbe dispiaciuto se al simpatico vicesindaco Marcone fosse toccata la coppa “foto dell’anno” per aver stappato una bella bottiglia (spumantino economico) per un Sottanelli poi non eletto??  Vedi tu, certe volte, per la fretta di fare la foto per immortalarsi su falbuk e per  copiare il fotomodello  Jàn Guì Dalbèr, si corre un brutto rischio.

Tante le riflessioni. Il cammino dei vincitori non sarà facile, già a partire dalla formazione del governo, sia per le contraddizioni interne sia per la necessità di muoversi entro le compatibilità europee (Pnrr ecc.). Ma tra i commenti che più mi hanno colpito ieri mattina sotto i portici quello più ripetuto era “Il sindaco non ha fatto votare PD” . Quasi che non volesse un successo di D’Alsonso o del Partito che lo appoggia, dove lui stesso in realtà avrebbe voluto candidarsi.   Inutile chiedere tanto al Comune di Teramo non rispondono – bisognerà un po’ insistere – ma oramai non solo sulla stampa si dice che il sindaco di Teramo ha pensato bene di chiamare l’onorevole Francesco Boccia per inviare a Enrico Letta un messaggio chiaro: “chi si candida a Teramo e chi si candida con il PD lo decido io” contando poi sulla raccomandazione di Legnini per auto-indicarsi come candidato. Candidato di un partito di cui non fa più parte. Strano. Perché? Certo è curiosa sta cosa.

E’ cosa nota, è storia vecchia l’antipatia tra Legnini e D’Alfonso. Ci sta. Ieri sotto i portici ho salutato con calore e stima l’amico Raimondo Micheli (che vedrei bene come sindaco) in compagnia della combattiva, bella e brava imprenditrice Francesca Persia. Ma erano con un tipazzo che non è solo mi è antipatico  – e  certamente  la cosa  è vicendevole – ma è anche molto brutto, e manifesta  in volto un’anima nera, rancorosa, sporca, uno imbroglione da ragazzo quando si andava ad Ascoli o Pescara con il fronte della gioventù, approfittandosi del fatto di avere un  Alfaromeo Giulia faceva la cresta sulla benzina, uno che quando c’era un parapiglia scappava ancora prima del primo schiaffo, uno utilizzato per fare  parecchie zozzerie e su cui molto mi raccontò il signor “bancomat” (non posso dire il nome per rispetto essendo deceduto) fraterno amico di mille notti in gioventù. Per carità ci sta. Chi è amato e ama tutti?

Ma può essere vero che Legnini ha invitato a non votare D’Alfonso. E che il sindaco abbia obbedito? O il sindaco ha fatto tutto da solo? Ci sta che Legnini e D’Alsono non si siano guardati nè salutati a Teramo quando è venuto Letta. Ci sta che nel 2018 durante la presentazione del libro di Renzi a Pescara i due fossero  seduti uno accanto all’altro senza mai guardarsi. Ci sta che il senatore, che ama “i luoghi del fare” rosichi un po’ perché anche a questo giro, non solo non porta l’Abruzzo al governo, non solo starà all’opposizione, ma vede che a Roma l’unico che fa, e alla grande, è Legnini. Ci sta che uno che ha ed ha avuto ruoli importanti a Roma che ha governato la magistratura si irriti se non tocca palla in Abruzzo. Ci sta che una persona semplice, che da del tu a Mattarella, ma si fa e si mangia le rostelle nella sua casetta  in campagna, con il cane, a Roccamontepiano, non veda di buon occhio l’arroganza del “senatore degli Abruzzi”, gli accostamenti a Benedetto Croce, i mantra “ho vinto tutto ho vinto sempre”, le prove muscolari e la vanità. Ci sta tutto. Ma addirittura arrivare a non far votare il suo partito. Perché? O il sindaco ha fatto tutto da solo? Non sarà mica perché una senatrice Pd a Teramo gli avrebbe fatto ombra. Non sarà mica che, solo soletto chiuso nella sua stanzetta, sapendo già che con questa squadra a maggio tornerà a fare quello che faceva in Regione, si sta preparando per andarci. Ma nel 2024. E non da dirigente?