La sentenza della Cassazione, ribaltando le conclusioni della Corte d’Assise d’Appello dell’Aquila, ha sancito che non ci sono o non sono individuabili colpevoli per quella che è stata definita la discarica abusiva più grande d’Europa. Una situazione paradossale, che complica anche le prospettive di bonifica, per la quale il futuro è a questo punto di nuovo tutto da scrivere. Le 10 condanne agli ex manager emesse dalla Corte d’Assise d’Appello de L’Aquila il 17 febbraio 2017 sono state annullate dalla quarta sezione penale della Cassazione: sono stati assolti per non aver commesso il fatto quattro imputati ; mentre è stato prescritto il reato di disastro ambientale, precedentemente riconosciuto in Appello, per gli altri sei.
L’avv. Tommaso Navarra, che ha rappresentato il WWF e Legambiente nella lunghissima fase processuale, è durissimo nel suo commento: «Oggi sconfitto è lo Stato che dopo 11 anni di processo arriva ad accertare che non vi sono responsabilità o che quelle che forse vi erano sono prescritte. Oggi sconfitta è la nostra comunità che dovrà farsi carico della non risoluzione del problema e dei costi umani ed economici che questo problema rappresenta. Noi – assicura – continueremo una battaglia di civiltà, anche giuridica, consapevoli che lo dobbiamo alla nostra storia, anche di impegno legale, e alle nostre future generazioni. Tutti devono sapere che continueremo a controllare il territorio, a denunciare gli abusi e a chiedere a voce forte e alta quella Giustizia con l’iniziale maiuscola che oggi ci è stata negata».
Il delegato regionale del WWF Abruzzo fa invece un passo indietro: «Nel 1972 – ricorda – un assessore comunale di Pescara, Giovanni Contratti, denunciò pubblicamente il problema e puntò l’indice contro Montedison. Il risultato fu per lui una sorta di damnatio memoriae mentre la questione inquinamento veniva tranquillamente dimenticata salvo riesplodere molti decenni dopo, nel 2007, con le conseguenze che abbiamo visto. È un dato di fatto che i veleni lì ci sono e non possono essersi depositati da soli, ed è un dato di fatto che il danno per la collettività è stato immenso e in qualche modo dovrà essere riparato. Certo lo Stato e chi lo ha rappresentato in questi anni non ha nulla di cui vantarsi: questa sentenza, al di là di ogni implicazione di carattere giudiziario, segna il sostanziale fallimento di una classe politica che, salvo poche lodevoli eccezioni, come quella rappresentata a suo tempo proprio da Contratti, ha clamorosamente mancato ai propri doveri di difesa della salute e dei reali interessi dei cittadini».
Rincara la dose il presidente regionale di Legambiente Giuseppe Di Marco: «La sentenza della Cassazione che ribalta quella di Appello è un vero incubo per gli abruzzesi. Tutto si conclude infatti con annullamenti e prescrizioni. Queste ultime non possono non richiamare alla mente il gravissimo ritardo politico nell’approvazione della cosiddetta legge sugli ecoreati, intervenuta solo nel 2015 dopo oltre 20 anni. Quella legge, oltre ad aver inserito specifiche fattispecie di reato nel nostro codice penale, prevede tempi di prescrizione più lunghi, fino a 30 anni e anche 45 in presenza di aggravanti, ma è purtroppo inapplicabile al caso Bussi. Questo problema, già sollevato nella sentenza eternit, contribuisce a scrivere un’altra triste pagina italiana in questa battaglia di civiltà».