“Lehman Trilogy” (Einaudi) di Stefano Massini è stato al centro del 126esimo incontro della rubrica “Dialoghi, la domenica con un libro”. Michele Fina ne ha discusso con l’attore Lino Guanciale e con Emanuele Felice, professore di storia economica all’Università Iulm di Milano.
Per Fina si tratta di un “grande successo per il teatro italiano. Un racconto lungo molto emblematico della nostra storia, anche recente, che riguarda 160 anni fino al 2008 ma anche l’oggi e il domani”.
Guanciale ha spiegato: “Nel giugno scorso è successa una cosa importante per la drammaturgia italiana, il nostro teatro ha ricevuto un riconoscimento importante nella persona di Stefano Massini, che con Lehman Trilogy ha conquistato cinque Tony Award. In questo caso gli Stati Uniti hanno accettato che qualcun altro abbia raccontato un pezzo della loro storia. Il testo ha conosciuto circa trenta allestimenti in tutto il mondo e narra la storia a partire dalla metà dell’Ottocento di una famiglia di mercanti tedeschi che sbarcano in America per commerciare in cotone, finendo con il generare una banca finanziaria tra le più potenti nel mondo che divenne nel 2008 simbolo della crisi globale. E’ un racconto di espansione e gloria familiare, e la prova di come attraverso l’arte si possa parlare del mondo di oggi”.
Per Felice “il fatto che un italiano abbia descritto molto bene un’epopea del capitalismo globale e di una famiglia di ebrei emigrati dalla Germania riuscendo a portarla sui palcoscenici mondiali è molto bello. Il testo è affascinante, vi ho trovato una forza narrativa potentissima. Il mito è quello dell’imprenditore senza radici e materialità che si pone alla conquista, l’elemento di attualità è che c’è una separazione tra l’attività economica e la merce. Si nota sin dall’inizio la smaterializzazione dell’economia: il capitalismo moderno nasce e si sviluppa da questo. La Lehman Brothers diviene simbolo della crisi finanziaria del 2008, simile a quella del 1929, di tipo classico: per sovraproduzione il capitalismo non riesce più a vendere ed è costretto a inventarsi dei meccanismi che fanno col tempo crollare il sistema. Secondo me questa crisi ha un senso paradigmatico, perché mette in crisi la narrazione liberale secondo cui i mercati si autoregolano. La crisi del 2008 negli Stati Uniti ha segnato in modo forte la consapevolezza che il modello della continua mercatizzazione di tutto era insostenibile. La vittoria di Obama è stata legata a questo evento. In Europa si è sentita di meno, si è sentita molto la crisi successiva del 2010/2011. Il nostro alla lunga è stato il continente che ha avuto più difficoltà, specialmente l’Italia. L’ideologia che tutto ha un prezzo entra in crisi nel 2008, ma parliamo di un sistema capitalista che tuttora governa il mondo e che non siamo riusciti a cambiare. Occorre tassare il reddito dove viene prodotto: senza questo passo non riusciremo a mantenere il welfare state e a finanziare la transizione ecologica. Per farlo c’è bisogno di una riforma del sistema finanziario globale”.
Nella parte conclusiva del dialogo alcune considerazioni di Guanciale sullo stato del teatro italiano: “Pur non essendo il nostro sistema produttivo teatrale pronto in toto a portare in scena materiale drammaturgico di qualità, gli autori sono in generale protagonisti di una stagione interessante. Da un punto di vista creativo il nostro teatro gode di buona salute e dopo l’emergenza pandemica le sale sono tornate a riempirsi più di prima, a differenza dei cinema che sono in profondissima crisi. Questa circostanza ci indica quello che si potrebbe fare con risorse e possibilità migliori sia per le produzioni che per le lavoratrici e i lavoratori”. L’attore ha ricordato in questo senso l’urgenza che per la legge quadro sullo spettacolo e per quella di tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo, entrambe approvate dal Parlamento, si emanino al più presto i decreti attuativi.