Per Yosef non fu un gran Natale, quel Natale.

Yosef di Nazareth, mani indurite dal lavoro e cuore intenerito dall’amore e dai sogni; ascoltatore silenzioso del brusio degli angeli attraverso l’umile via dei sogni; sposo che non rivendica mai la primogenitura del sì di Maria, i suoi progetti li aveva, eccome. Progetti modesti, da giovane artigiano: la bottega andava bene, merito della sua bravura e della sua affabilità con i clienti. Certo, non era una gran piazza, Nazareth, ma col tempo, chissà, avrebbe potuto ingrandirsi e, addirittura, trasferirsi a Betlem.  Le cose andavano bene: aveva appena ricevuto la commissione per costruire una grande cassapanca per un tale Levi che faceva l’esattore a Cafarnao. Tutto bene, insomma: da lì a poco avrebbe preso in casa la sua fidanzata Maria, che tutti gli invidiavano per la bellezza e la modestia innata. In tutta la Galilea si parlava della naturale bellezza delle nazarene (e d’altronde, l’Onnipotente era stato giusto: tanto quanto il posto era arido e sgradevole, tanto più aveva donato a quel paese delle splendide figlie di Eva!), e la piccola Maria confermava tali voci.

Per Yosef,  Palestinese di Galilea, progettare una famiglia con quella ragazza che gli aveva rapito il cuore era fonte di una gioia incontenibile.
Chissà come venne a sapere Giuseppe che Maria aspettava un figlio. Non suo. Chissà. Non da Maria, credo, forse da qualche parente vicino alla famiglia, un maschio, probabilmente. Per Giuseppe fu come scivolare in un incubo assoluto, una tragedia definitiva. Ma come: Maria? Proprio lei? Giuseppe era l’unico a sapere che quel figlio non era frutto del suo seme. L’unico, insieme a Maria. La notte in cui apprese la notizia fu terribile, continuava a rigirarsi nel pagliericcio, appena il sonno riusciva a strapparlo dall’ansia, orribili sogni lo gettavano nell’ombra più cupa. Cosa doveva fare? Non era il tempo della rabbia, quello, né della lamentazione, era il tempo di agire. Sapeva fin troppo bene cosa avrebbe dovuto fare. Se ne parlava, fin da quand’era piccolo, sottovoce a casa, riguardo ad una brutta vicenda capitata a una vicina scomparsa improvvisamente: una donna adultera deve essere lapidata pubblicamente. Antico retaggio tribale di una visione della donna e della sessualità in qualche modo messo in bocca a Dio e, perciò, giustificato e condiviso da tutti, adultere comprese. Ecco: al mattino si sarebbe alzato e sarebbe andato dal rabbino, e gli avrebbe detto la verità, poi, le cose sarebbero andate come dovevano, non c’era altra soluzione.  O forse si.

Il volto di Maria, sorridente, gli tornava in mente: non riusciva a credere alla realtà, non voleva arrendersi all’evidenza. Il suo orgoglio di maschio ferito cedeva il posto alla tenerezza e alle lacrime.  Il suo cuore si placò quando gli venne in mente un’altra soluzione: al rabbino avrebbe detto che si era stufato di Maria, che scioglieva il contratto. Maria avrebbe avuto l’onore compromesso, ma la vita salva. Ecco, sì, buona idea. In fondo amava Maria immensamente, nonostante tutto.  O forse no.

Il sonno che lo prese fu quello che prende dopo una notte di battaglia, sul fare del mattino. E lì accadde. Un angelo dialogava con lui, nel sogno, e gli parlava di una missione da compiere, e di un figlio che avrebbe salvato il mondo e di non preoccuparsi. Un sogno strano, dolce, quasi vero. Maria era sua, di Giuseppe, ma Dio le aveva chiesto il grembo in prestito. Nel sogno Giuseppe taceva, stupito, attonito, pacificato. Poi.
Si svegliò, sereno. I pensieri bui erano lontani, fuggiti con le tenebre, si decise di andare a comperare un dolce e di portarlo a Maria. Aveva bisogno di forza, ora che aspettava un figlio. “Suo” figlio.

Matteo scrive che Giuseppe è “giusto”, cioè autentico, onesto, un uomo di alto profilo, pieno di dignità e di compassione, non vendicativo, non rancoroso; non giudica secondo le apparenze, pur ferito a morte, sa superare il suo orgoglio e usa misericordia verso la donna che ama.
“Giusto” come i giusti dell’antico testamento, come i pii davanti a Dio, come i retti di cuore che tanto la Scrittura loda, come il sommo titolo onorifico per gli europei che hanno nascosto e salvato gli ebrei durante la folle Shoa.

In un mondo di arroganti e spocchiosi , fatto di gente che urla per far sentire il nulla che ha da dire Giuseppe c’insegna ad avere il coraggio del sogno, in questo mondo disincantato e cinico. Giuseppe accetta, si mette da parte, rinuncia al suo sogno per realizzare il sogno di Dio e dell’umanità. Abbiamo bisogno di sognatori, abbiamo bisogno del coraggio del sogno, abbiamo bisogno di persone che non pensano a far fiorire il proprio piccolo giardino, ma ad aiutare Dio a salvare il mondo. Giuseppe ora è con Maria. Non le ha chiesto nulla, lei sa, lui sa, cos’altro dire?