Dal 1975 al 1985, ogni anno che tornava in Italia, non faceva mai mancare la sua presenza agli incontri di “Mani Tese” a Teramo e in Abruzzo. Giulianova, Roseto, Teramo, la Vibrata dove aveva un gruppo di sostenitori che l’aiutava nella sua missione. Padre Giuseppe Ambrosoli ora è stato beatificato da Papa Francesco. Nessuna meraviglia per questa scelta del Papa che vede e riconosce che “La Chiesa è nata missionaria”. Il Cristianesimo si è potuto diffondere ed affermare nel mondo perché migliaia di cristiani, obbedienti al comando di Gesù “Andate e ammaestrate tutte le nazioni …” (Mt 28,19), si sono impegnati nella predicazione del Vangelo in ogni paese della terra. La fede che riconosce in Gesù Cristo l’unico mediatore fra Dio e l’uomo e il desiderio che tutti lo riconoscano come il Salvatore, rendono i credenti missionari e li spingono ad adoperarsi perché tutti gli uomini ottengano le grazie che il suo amore dispensa a coloro che lo conoscono, lo accolgono e lo amano. Ricordo – a me stesso – che il Concilio Vaticano II, nel Decreto Ad Gentes, ha trattato diffusamente il grande tema della missionarietà della Chiesa. Secondo i Padri del Concilio, l’impegno a essere missionari, oltre che al Papa e ai Vescovi, spetta a tutti i membri della Comunità cristiana, che devono collaborare alla diffusione del Vangelo in ogni luogo della terra e in ogni situazione: è missionario chi porta la Parola di Dio a coloro che ancora non conoscono Gesù e a coloro che hanno dimenticato Gesù e la sua dottrina. L’azione missionaria si estende, infatti, anche alla rievangelizzazione delle società cristiane più antiche, minate da ideologie contrarie alla fede. L’attività missionaria della Chiesa è, dunque, un servizio reso a tutta l’umanità, per far conoscere al mondo Dio e i suoi doni, diffondere la fede in Gesù Salvatore, promuovere la solidarietà e la pace fra le Nazioni, accogliere nella Chiesa tutti gli uomini.
Nato a Ronago (Como) dove la famiglia aveva fondato la famosa azienda produttrice di miele fu obbligato, durante la guerra, in qualità di medico, ad essere internato nel campo di addestramento di Stoccarda. Qui, la terribile condizione lo indusse a maturare la vocazione missionaria, e decise di entrare nella Congregazione dei Missionari Comboniani. Nel 1955 fu ordinato sacerdote e l’anno dopo partì per l’Uganda, ove fu assegnato alla missione di Kalongo, sperduto villaggio nel misero e polveroso nord, per lavorare in un primitivo dispensario ai piedi di un suggestivo monte roccioso che si erge improvviso e verticale nella savana. È la Montagna del Vento, nel corso dei secoli luogo di compravendita di schiavi e avorio da parte dei commercianti arabi. Qui padre Giuseppe si dedicò a fondare l’ospedale e scuola “St Mary Midwifery school”. Ben presto l’ospedale raggiunse 550 letti e divenne riferimento per un’enorme regione, anche oltre i confini ugandesi. Da qui verso il nord per centinaia di chilometri vi era solo il vuoto ed il nulla. Imparò la lingua Acholi con cui comunicava con infermieri e pazienti. Lavorarono con lui anche suore italiane ed africane e medici che erano attirati dalla sua personalità e professionalità. Prediligeva la chirurgia e nelle sale operatorie di Kalongo, dove diceva di sentirsi come in paradiso. Il suo servizio era determinato da un senso espresso dalla frase: “Dio è amore e io sono il suo servo per la gente che soffre”, frase iscritta nella sua lapide tombale. Dopo la cena con i confratelli, passava ore scrivendo lettere ai benefattori alla luce di precarie lanterne, nel silenzio della notte africana, quando non era chiamato per un’urgenza notturna. Spesso era sorpreso in preghiera da chi entrava nella grande chiesa della missione. Virtù eroiche che la Chiesa ora ci invita a meditare e contemplare. Oggi diventa beato, Giuseppe Ambrosoli . La chiesa ha riconosciuto il miracolo avvenuto per sua intercessione: la guarigione di Lucia Lomokol, una donna che il 25 ottobre 2008 stava per morire a 20 anni di setticemia, dopo aver perso il figlio che portava in grembo. All’ospedale era arrivata troppo tardi e allora uno dei medici, vista l’impossibilità ormai di alcuna terapia, le aveva posto sotto il cuscino l’immagine di padre Giuseppe invitando i familiari a invocare il “grande dottore”. Ora è nata la Fondazione Ambrosoli, Ong diretta dalla nipote Giovanna che sostiene l’opera di Kalongo,