Abbiamo ascoltato il Premier Conte come si trattasse dell’oracolo di Delfi. Nella storia greca si narra di questo borgo, in prossimità del golfo di Corinto, dove sorgeva il santuario di Apollo. I fedeli si recavano al tempio per interrogare il dio sul futuro. Il mondo ha affrontato molte sfide e superato molti ostacoli, ma quando le persone sono preda di smarrimento, assumono comportamenti non dissimili rispetto a quelli tipici di migliaia di anni fa.
Nel senso che ascoltare il Presidente del Consiglio ha rappresentato un “rito” che avrebbe dovuto far diradare le nebbie, al pari del faro che permette ai naviganti di scrutare l’approdo pur con una visibilità prossima allo zero.
Qual è la espressione che è stato il “leitmotiv” della intera conferenza di Conte?
“Se ami l’Italia, mantieni le distanze”. Ora, non ho motivo di dubitare che la trasmissione del contagio possa determinarsi per effetto della prossimità “corporea” delle persone.
Mi chiedo: non è però che va controbilanciato questo distanziamento? Può essere così tempestivamente acquisito un modo di comportarsi, che elogia l’isolamento, perdendo di vista, e questo mi pare l’elemento cruciale, l’effetto collaterale che tutto questo comporta?
Mi riferisco alla sottovalutazione che una esortazione di questo genere produce nei confronti di chi ha bisogno di essere supportato, rassicurato, sostenuto.
Il mantenimento delle distanze implica e presuppone una “centratura dell’Io” che non è una dotazione di cui tutti siano equipaggiati: anzi, oso azzardare, ma se lo faccio è in virtù di una lunga esperienza professionale, è un requisito che è prerogativa di pochi.
Quantomeno, occorre procedere ad un bilanciamento che ponga in equilibrio qualcosa che determina una sottrazione con una qualche altra cosa che sviluppi una compensazione.
Mi spiego meglio: se da una parte mi pronuncio sostenendo che la separatezza delle persone le une dalle altre è cosa buona, dall’altra dovrò invitare la “persona separata dal contesto per ragioni sanitarie” ad investire su sé stesso, ad incrementare quella ricchezza del Sé capace di rendersi complementare ad una socialità che oggi è definita come “modalità non praticabile” almeno nel breve periodo.
Altrimenti la persona risponde alla esortazione ricevuta con una reazione di tipo difensivo.
Della serie: mi distanzio dalle persone in quanto sono minacciose per la mia integrità. Quindi percepirò qualsiasi “altro da me” come un virtuale “infettante” per la mia incolumità.
Il messaggio evidentemente, è di altro genere; vuole significare : “non renderti “strumento” di un contagio di cui puoi essere propagatore attraverso una tua trasmissione, sia pure inconsapevole”.
Il dettaglio, non di poco conto, è che il senso di isolamento, che la persona vive, rende il soggetto, ostaggio di un “vuoto interiore” che lo “accompagna” verso una depersonalizzazione, anticamera di una epidemia non meno drammatica: quella della depressione. Non oso pensare che tali contraccolpi non siano stati attentamente ponderati e considerati.
Ernesto Albanello