RIceviamo e pubblichiamo:

Come è noto, la Lista Civica “Teramo 3.0” ha depositato apposita mozione da discutere e sottoporre alla votazione nella prossima seduta del Consiglio comunale, attraverso la quale si impegna l’Amministrazione “ad avanzare sollecita azione giudiziale di recupero dei crediti comunali nei confronti della società partecipata Ruzzo S.p.A., per il tramite di apposito ricorso per decreto ingiuntivo”.
Il Consiglio di Amministrazione della Ruzzo ha subito risposto alla notizia con proprio comunicato, tramite il quale si annuncia che “Ruzzo Reti gestisce un servizio essenziale per la collettività e ha 280 dipendenti, alcuni dei quali rischierebbero il posto con un procedimento ingiuntivo da irresponsabili che condurrebbe l’azienda a una istanza di concordato in continuità”.
La traduzione è:
1) Il Comune creditore che esige i propri crediti è irresponsabile. Purtroppo è vero l’esatto opposto, perché il Comune di Teramo sarebbe irresponsabile se continuasse a non esigere i soldi dovuti dalla Ruzzo che sono denari di proprietà dei 55.000 residenti teramani, i quali chiedono a gran voce che il loro Comune rifaccia il manto di asfalto delle strade comunali, disastrate da troppi anni.
2) Il Comune creditore che esige i propri crediti potrebbe condurre al fallimento la società Ruzzo. Siamo basiti. Per anni, dinanzi agli allarmi lanciati da Teramo 3.0, la risposta della Ruzzo è stata l’ostentazione della tranquillità di chi ha amministrato bene nell’interesse dei cittadini. Ma oggi, di fronte ad una timida ipotesi di decreto ingiuntivo da 3,5 milioni di euro, una società che introita 42 milioni di euro l’anno dalle bollette dell’acqua pagate dagli utenti minaccia bancarotta?
3) Il Comune creditore che esige i propri crediti mette a rischio alcuni dei 280 posti di lavoro della Ruzzo S.p.A. Anche qui restiamo interdetti. Abbiamo più volte reso noti alla cittadinanza i nostri dubbi sulla gestione della società acquedottistica teramana. Abbiamo sottolineato che le scelte gestionali operate dal CdA del Ruzzo hanno condotto, a fronte di ricavi societari sempre crescenti, ad una perdita di 2,5 milioni di euro solo nell’ultimo bilancio approvato nello scorso luglio 2018, e ad una perdita complessiva di circa 7 milioni di euro nel complesso degli ultimi 5 bilanci. Abbiamo denunciato che le scelte gestionali operate dal CdA del Ruzzo hanno condotto ad una crescita del numero dei dipendenti (284 in totale), con aumento esponenziale dei lavoratori interinali passati dai 20 del 2013 agli 80 attualmente in servizio. Abbiamo lamentato come persista una patologica continuità nella inadempienza di restituzione, essendo noto che il Piano Industriale 2014-2017 approvato dai soci del Ruzzo prevedeva esplicitamente, a far data dall’annualità 2015, il puntuale adempimento sulla restituzione dei mutui in favore dei Comuni. A tale riguardo, abbiamo ricordato che il Piano industriale prescriveva “modalità di rinegoziazione dei mutui sin qui impagati, ipotizzando un loro rifinanziamento e riscadenzamento che consenta di spalmare tali oneri su un arco temporale più ampio possibile. In tal senso, in attesa di individuare tale soluzione, il piano prevede di pagare le rate in scadenza dal 2015 in avanti”. Abbiamo ribadito che nelle annualità 2015, 2016, 2017 e 2018 nulla è stato restituito al Comune di Teramo, e l’ex Presidente Forlini (attuale membro del CdA) ha formalmente risposto – al sindaco D’Alberto che glielo chiedeva in data 15 settembre 2018 – con la seguente frase: “Stiamo attuando una proposta di rateizzazione”, con ciò esplicitando la persistenza dell’inadempimento per tutti gli ultimi quattro anni.
A fronte di tutto questo ci si viene oggi a dire che è stato presentato un piano di rateizzazione lo scorso 18 ottobre, cioè solo dopo che il sindaco D’Alberto aveva chiesto in Assemblea come mai fosse rimasto inadempiuto non solo l’obbligo giuridico di restituzione dei crediti, ma anche l’obbligo assunto nel Piano Industriale.
Spiace dover comunicare al Consiglio di Amministrazione, che dovrebbe certamente saperlo, che è ipotizzabile un danno erariale a carico dei responsabili comunali i quali non dovessero procedere a tutte le azioni possibili per recuperare tempestivamente quanto dovuto ai cittadini teramani, quantomeno a far data dal 29/06/2016, giorno della pubblicazione della sentenza n. 701 della Corte di Appello de L’Aquila, la quale pronuncia – definendo il contenzioso fra l’Ente d’Ambito Territoriale Ottimale n. 5 Teramano (che aveva ottenuto il decreto ingiuntivo a carico del Ruzzo per il riconoscimento di euro 8.151.625,00) e la Ruzzo S.p.A. – chiariva che “Deve dunque essere affermata in capo ai Comuni ricadenti nell’ATO, e non in capo all’Ente d’ambito, la titolarità del credito di cui è causa, con l’ulteriore, inevitabile, conseguenza, che quest’ultimo non avrebbe potuto agire per conseguire il pagamento di tale parte del canone gravante sul Gestore, essendo legittimati a ciò esclusivamente i singoli comuni”.
Ne discende che, essendo la parte di canone di cui si parla esattamente quella ammontante ai circa 3,5 milioni di crediti del Comune di Teramo, l’azione civile di recupero crediti non è affatto una questione di opportunità politica, bensì un vero e proprio obbligo giuridico fonte di danno erariale qualora non attivata.
Quanto poi all’accusa di “strumentalizzare fatti e persone per finalità che sembrano legate esclusivamente alla conquista di strumenti di gestione della cosa pubblica”, la rispediamo al mittente perché i cittadini teramani sono perfettamente in grado di comprendere chi difende i loro interessi, rispetto a chi minaccia il rischio di perdita di posti di lavoro qualora il Comune dovesse perseguire l’adempimento degli obblighi di legge.
Infine, riteniamo istituzionalmente grave la seguente affermazione del CdA: “Ribadiamo che il nostro operato è legato alla fiducia che la maggioranza dei Comuni soci ha democraticamente e in maniera trasparente espresso ed è pronto ad interrompersi solo se la fiducia concessa dai 26 Sindaci presenti in assemblea dovesse venire meno”. La fiducia della maggioranza dei Comuni può emendare qualsiasi colpa e qualsiasi mala gestio? Non è così in uno Stato di diritto: è la legge che deve essere ossequiata da un saggio amministratore della cosa pubblica, non già la volontà della maggioranza dei soci, la quale ben potrebbe essere indirizzata a fini illegittimi o peggio ancora clientelari. In caso contrario lo stato di diritto sarebbe morto ed entreremmo nella dittatura della maggioranza, situazione già sperimentata nella storia con esiti nefasti.