TERAMO – L’intervento del Sindaco di Teramo Gianguido D’Alberto in occasione della Giornata della Memoria 2025, a margine dei due appuntamenti organizzati dal Comune. Il primo, iniziato alle 9.00 con il Sindaco Gianguido D’Alberto e il Presidente del Consiglio Comunale Alberto Melarangelo che, davanti alla pietra d’inciampo in viale Cavour 2 hanno ricordato il sacrificio dell’ufficiale teramano Alberto Pepe, morto nel campo di sterminio nazista di Unterluss il 4 aprile 1945, e di tanti antifascisti e antinazisti.
Secondo appuntamento, alla Villa comunale dinanzi al cippo dedicato all’ufficiale teramano e a tutti gli Internati Militari italiani (IMI), dove il Sindaco e il Presidente del Consiglio Comunale, assieme ai rappresentanti dell’ANPI e Teramo Nostra, alla presenza delle autorità provinciali e cittadine, di altri assessori e consiglieri comunali, hanno deposto una corona di alloro, simbolico riconoscimento della città a tutti coloro che decisero di opporsi, fino al sacrifico estremo, alla barbarie nazi-fascista.
Di seguito l’intervento del Sindaco:
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità forse non meritiamo di esistere” – José Saramago
Quest’anno ricorre l’80° anniversario della liberazione di Auschwitz, un luogo che più ogni altro ha incarnato l’immagine del male assoluto, della violazione della dignità umana, di un baratro senza fine. Un luogo che ha rappresentato e rappresenta un monito per l’umanità, ancor di più oggi, in un tempo in cui il mondo è scosso da numerosi conflitti e in cui il dovere della memoria sembra essersi affievolito a favore del riemergere di disvalori che il lungo periodo di pace vissuto in Europa, dal dopoguerra in poi, ci aveva illuso fossero definitivamente archiviati.
Ma così non è e non è mai stato. E se la memoria non è solo ricordo ma monito, oggi, in un mondo dove ancora assistiamo a discriminazioni e violenze fondate su fattori etnici, nazionali, religiosi, possiamo dire senza tema di smentita e soprattutto senza retorica che quella memoria è stata già tradita.
Per questo, di fronte ai rinnovati nazionalismi, alle guerre che ancora oggi spengono ogni luce negli occhi dei bambini privandoli dell’innocenza, di fronte alla concezione dello straniero come diverso da respingere e come numero tra numeri, di fronte all’utilizzo indiscriminato di termini come “razza”, siamo chiamati tutti a un’assunzione di responsabilità. Perché l’indifferenza, il voltarsi dall’altra parte, la mancata difesa della democrazia, sono il substrato sul quale si innestano l’odio, la violazione dei diritti, l’attacco stesso alla democrazia. Quella democrazia senza la quale è impossibile prevenire i genocidi. Come ci ricordava lo storico israeliano Yehuda Bauer, scomparso lo scorso anno, “combattere per la democrazia e contro il genocidio sono due facce della stessa medaglia”. E questo è un monito che vale per tutti i Governi che calpestano la dignità umana, nessuno si senta escluso.
La Storia, la memoria, ci richiamano ogni giorno a un impegno quotidiano e costante per la pace e la giustizia, senza la quale la pace non può esistere. Nessuno di noi, dunque, può chiamarsi fuori dal dovere della memoria e dalla sua proiezione nel presente e nel futuro.
Come ho ricordato più volte, soprattutto rivolgendomi alle giovani generazioni, quello che portò all’Olocausto e ai suoi 15 milioni di morti tra ebrei, rom, sinti, jenish, omosessuali, popolazioni delle regioni orientali europee occupate, oppositori politici, testimoni di Geova e pentacostali, malati psichiatrici e diversamente abili, fu un percorso lungo, ampio e articolato al quale contribuirono l’indifferenza e l’ignavia di intere popolazioni e Governi.
L’Olocausto fondava infatti le sue radici nel primo genocidio del XX secolo, quello del popolo armeno, riconosciuto a oggi da 29 paesi ma di fatto ancora avvolto dall’oblio, e ha rappresentato l’arrivo di un percorso di cancellazione dell’uomo e della sua dignità di cui l’Italia, con le leggi razziali approvate nel 1938 dalla destra fascista, è stata parte integrante. E non possiamo far finta di non comprendere come l’approvazione delle leggi razziali, all’epoca, fu figlia di una radicata cultura e della convinta ideologia del fascismo, che trovava indifferenza, quando non aperta condivisione, da parte del Paese.
Una pagina della nostra storia della quale ancora oggi, come Istituzioni, non possiamo che continuare a provare profonda vergogna e di fronte alla quale abbiamo l’obbligo, di fronte al diffondersi di diverse forme di razzismi, di lavorare perché non si perda la memoria ma al contrario la si viva ogni giorno nei nostri atteggiamenti quotidiani, nell’attenzione alle parole che usiamo, nella diffusione di una cultura che metta al centro l’uomo in quanto tale, che costruisca ponti e non muri.
Il faro di ogni nostra azione, oggi come ieri, deve restare la nostra Costituzione, che trova la sua genesi proprio nell’antifascismo e nei suoi valori mettendo al centro la persona. Basti pensare allo straordinario valore dell’articolo 3 della nostra Carta, che stabilendo che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, ha rappresentato e rappresenta un baluardo contro gli abomini e le violenze vissute in un passato di cui dobbiamo continuare ogni giorno a fare memoria.
Quella memoria che deve renderci consapevoli di quella “banalità del male” ben descritta da Hannah Arendt e che può riemergere in ogni momento. Perché, come ci ricordava Arendt, “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
Per questo, oggi, dobbiamo rifuggire da quella che appare sempre più, quando si parla di conflitti, come una sorta di classifica dell’orrore. Ogni guerra, ogni forma di violenza, di razzismo, di disumanizzazione dell’altro, ha una sua unicità drammatica che contribuisce a tradire la memoria e farci cedere alla tentazione di sentirci estranei da quello che succede a un passo da noi.
Oggi, la vera sfida, è quello di riappropriarci della memoria come vaccino contro ogni forma di negazione della dignità umana, ricucendo passato, presente e futuro e mettendo sempre al centro l’uomo in quanto tale. Solo così potremo assicurarci che quello che è accaduto non si ripeta mai più. – Gianguido D’Alberto –