Santo Stefano, ovvero quando niente è più come prima. Sarebbe potuto scappare il diacono Stefano. Avrebbe potuto negare e salvarsi dalla lapidazione nel sinedrio di Gerusalemme. Avrebbe potuto evitare, facilmente, quei sassi. Eppure no. Quei sassi Stefano se li prende tutti, e mentre arrivano e lo uccidono chiede al Padre di perdonare i suoi carnefici. Perché, appunto, dopo Gesù niente è più come prima, e anzi mostra un approccio del tutto nuovo. Papa Francesco ce l’ha ricordato con grande semplicità il giorno dopo Natale, quando la Chiesa celebra Santo Stefano, il primo martire: «Il messaggio di Gesù è scomodo e ci scomoda, perché sfida il potere religioso mondano e provoca le coscienze. Dopo la sua venuta, è necessario convertirsi, cambiare mentalità
Stefano, in questo senso, è il “provocatore” che mette ogni cristiano di fronte alla realtà del bambino che nasce nella grotta, e di ciò che questo implica. Come nell’antichità anche oggi la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio.
Una realtà che noi oggi ben conosciamo. Ma, nello stesso tempo, una realtà che ci pare lontana, estranea a volte; tanto lontana e tanto estranea che, forse, abbiamo perso la percezione della provocazione di Stefano e di un Dio che fa nuove tutte le cose, anche la morte. Stefano è un provocatore perchè supplica Gesù di accogliere il suo spirito. Cristo risorto, infatti, è il Signore, ed è l’unico mediatore tra Dio e gli uomini, non soltanto nell’ora della nostra morte, ma anche in ogni istante della vita: senza di Lui non possiamo fare nulla. Gesù è il nostro mediatore e ci riconcilia anche tra di noi. rimuovendo ogni conflitto e risentimento, con un atteggiamento che trasforma la vita e la rende più bella, più fruttuosa. Perché davvero, alla fine, l’amore resta l’unica risposta possibile per chi si dica seguace di Gesù. Qualunque cosa questo amore comporti
Anche in questi tempi bui l’uomo cerca una luce. Guerre, povertà, insicurezza, violenza. Tutto questo crea tristezza e malinconia ai più. E a qualcuno dense preoccupazioni per il futuro. Un tempo triste che non si sa bene quando avrà fine. Ci attanaglia l’indifferenza, inerzia, tristezza, quella che Marsilio Ficino indicava come perdita dello “spirito sottile”. La voce dell’anima non parla più. È la grande tristezza di cui parla Dante, che scende e si allarga. L’uomo malinconico non padroneggia più la vita, dominata da due impulsi opposti. Una volontà di esistere, e una volontà di sottrarsi. Si sta in bilico. Anche con la propria coscienza. Santo Stefano, è un provocatore che ci indica la via per uscire dalla crisi, come esseri umani migliori che vivono in società più sane. La via è attraverso la comunione con un’attenzione speciale ai più deboli. Gesù è il guaritore che porta conforto e guarigione agli afflitti (cf. 2Cor 1,3-5). Insieme. Come fratelli tutti. Con il nostro sguardo fisso su Gesù, impariamo che così come la sua morte sulla croce non ha impedito al centurione di riconoscerlo come “figlio di Dio” (Mc 15,39), così anche la fragilità della condizione umana non può annebbiare la nostra visione della natura umana, non può diminuire la dignità dell’individuo, e nessuno può essere trattato in modo sprezzante, nessuno può essere lasciato indietro.
Ricordandoci il principio dell’“opzione preferenziale per i poveri”. Che non è negoziabile. Anche se alcune diocesi la dimenticano. Anche se alcuni vescovi pagani la ignorano. Infatti, questo principio è un imperativo evangelico, non eludibile, secondo il quale tutti “sono chiamati ad essere strumenti di Dio per la liberazione e la promozione dei poveri”. Gesù che è diventato povero, rendendosi servo per tutti – anche se alcune diocesi lo dimenticano, anche se alcuni vescovi pagani lo ignorano – ha lasciato ai suoi discepoli un imperativo in eredità: “lavatevi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14). È così che si guariscono le epidemie dell’ingiustizia sociale! Per guarire un mondo colpito duramente, come faceva Santo Stefano occorre annunciare un nuovo cammino per un nuovo futuro, con gli occhi sempre fissi su Gesù, nostro guaritore.