Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Erode cerca il bambino per ucciderlo. Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto” (Mt 2,13-15). Egli si alzò nella notte, prese il bambino e sua madre e, passando per Gaza e Hebron, si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: “Dall’Egitto ho chiamato mio figlio”. Quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: “Sarà chiamato Nazareno”.
Gesù, nato in Palestina, parlava l’aramaico, la lingua del popolo (Eloi, Eloi, lema sabactani? ) lingua di ceppo semitico, e non l’ebraico, e passò i primissimi anni di vita in una terra straniera, dopodiché vi fu il ritorno in terra di Palestina. Sarà proprio in questa regione che Gesù eserciterà gran parte della sua “vita pubblica” cominciando a far brillare una luce di speranza nuova. Proveniente dalla Galilea.
La tradizione immagina – ed è logico che così fosse – che Maria, con il Bambino fra le braccia, cavalcasse un asino, tenuto per la cavezza da Giuseppe. Ma la fantasia degli scritti apocrifi ha fatto fiorire numerose leggende su questo episodio: palme che allargano le loro chiome per far ombra ai fuggitivi, bestie feroci che diventano mansuete, briganti che diventano comprensivi, sorgenti di acqua che sgorgano d’improvviso per alleviare la sete… La pietà popolare si fa eco in quadri e componimenti poetici, con il lodevole fine di mettere in evidenza la vigilanza della Provvidenza divina. La verità è che si trattò di una fuga in piena regola, durante la quale alle sofferenze fisiche si univa il timore di essere raggiunti da un momento all’altro da qualche plotone di soldati. Soltanto quando arrivarono a Rhinocolura, alla frontiera della Palestina con l’Egitto, si sentirono più tranquilli.
Frattanto nel piccolo villaggio palestinese di Betlemme si consumava il massacro di un gruppo di bambini, strappati dalle braccia delle madri. Allora si adempì – annota san Matteo – quel che era stato detto per mezzo del profeta Geremia: “Un grido è stato udito in Palestina, un pianto e un lamento grande” ( Mt 2, 18). È indubbiamente un passo di difficile comprensione, che ha scandalizzato molti: come può Dio permettere che gli innocenti soffrano, specialmente se sono bambini? La risposta a questa domanda poggia su un punto fermo: Dio non tratta gli uomini come fossero marionette, ma rispetta la loro libertà, anche quando sono dediti a fare il male. Dio scrive dritto sulle righe storte degli uomini, ma questo enigma si chiarisce soltanto alla luce del sacrificio di Cristo sulla Croce. La Redenzione è stata operata attraverso la sofferenza del Giusto, dell’Innocente per eccellenza, che vuole associare gli uomini al proprio sacrificio.
La tradizione non è unanime sul luogo in cui risiedette la Sacra Famiglia in Egitto: Menfi, Heliopolis, Leontopolis…, dato che nell’ampio delta del Nilo fiorivano molte comunità palestisei. Si inserirono in una di esse come tanti emigranti, e là Giuseppe avrà trovato un lavoro che gli permise di mantenere degnamente, anche se poveramente, la famiglia. Secondo i calcoli più comuni, stettero in Egitto almeno un anno, fino a quando di nuovo un angelo annunciò a Giuseppe che poteva ritornare in Palestina.
Francesco celebra a San Pietro la Messa solenne della Notte di Natale e traccia un parallelismo tra la condizione della Santa Famiglia e quella di chi oggi fugge dalla propria terra:
“Maria e Giuseppe come i migranti di oggi in fuga dalla guerra, dalla miseria, da dittatori che li vogliono uccidere come il re Erode nella Palestina di duemila anni fa. Serve una nuova «immaginazione sociale» per trasformare la paura verso gli altri in carità”.
È l’antico inno liturgico della Kalenda ad annunciare nel cuore della notte la nascita di Gesù Cristo: irrompe la luce nella Basilica di San Pietro, le campane suonano a festa e papa Francesco bacia e incensa Gesù Bambino posto ai piedi dell’altare del Bernini prima di presiedere la Messa solenne della Notte di Natale. Il Pontefice, nell’omelia, commenta il Vangelo di Luca che racconta la nascita di Cristo, e rilegge la vicenda di Maria e Giuseppe alla luce di quella, travagliata, dei migranti di oggi: «Per decreto dell’imperatore, Maria e Giuseppe si videro obbligati a partire», nota il Papa. «Dovettero lasciare la loro gente, la loro casa, la loro terra e mettersi in cammino per essere censiti. Un tragitto per niente comodo né facile per una giovane coppia che stava per avere un bambino: si trovavano costretti a lasciare la loro terra. Nel cuore erano pieni di speranza e di futuro a causa del bambino che stava per venire; i loro passi invece erano carichi delle incertezze e dei pericoli propri di chi deve lasciare la sua casa. E poi si trovarono ad affrontare la cosa forse più difficile: arrivare a Betlemme e sperimentare che era una terra che non li aspettava, una terra dove per loro non c’era posto».