L’esecuzione inizia il suo corso. Gli Stati Uniti hanno vinto il ricorso davanti all’Alta Corte di Londra a causa di un grave errore giudiziario. Il fondatore di Wikileaks – che Washington insegue senza tregua da oltre 10 anni – potrà essere estradato negli Usa, colpevole di aver rivelato le verità nascoste e aver pubblicato informazioni che hanno dimostrato i crimini di guerra degli Stati Uniti, inclusi assassini di giornalisti e di bambini; rischia una condanna a 100 anni di carcere negli Usa.
Julian Assange, padre di WikiLeaks, 50 anni, detenuto in custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza mentre combatte contro l’estradizione negli Stati Uniti, dopo l’evento ha avuto un ictus ed è rimasto con la palpebra dell’occhio destro cadente, problemi di memoria e segni di danni neurologici. Ovviamente l’ictus è stato innescato dallo stress dell’azione giudiziaria statunitense in corso contro di lui e da un generale declino della sua salute mentre affronta il suo terzo Natale dietro le sbarre. È successo durante un’apparizione all’Alta Corte tramite collegamento video da Belmarsh in ottobre. Un “attacco ischemico transitorio” – l’interruzione dell’afflusso di sangue al cervello – può essere un segnale di avvertimento di un ictus completo. Assange quindi si è sottoposto a una risonanza magnetica e ora sta assumendo farmaci per evitare il ripresentarsi dell’ictus.
Julián Assange, lo sapete già, quello che per Joe Biden è un terrorista per aver pubblicato informazioni che hanno dimostrato i crimini di guerra degli Stati Uniti, inclusi assassini di giornalisti e di bambini, è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, dopo la richiesta di estradizione presentata dagli Stati Uniti.
Se pensiamo al no all’estradizione di Pinochet, non è che la decisione sia ancora più incomprensibile, bensì tutto il contrario, dimostra fino a che punto un dittatore assassino e genocida come Pinochet ha più diritti a Londra che il giornalista che ha filtrato una delle informazioni giornalistiche più importanti degli ultimi decenni.
Inoltre, è da segnalare che i problemi psicologici di Julian Assange non sono una novità, già nel mese di gennaio il giudice Vanessa Baraitser, del tribunale di prima istanza, aveva affermato che Assange aveva tentato di autolesionarsi e che aveva tendenze suicide. Nils Melzer, relatore speciale dell’ONU per casi di tortura e punizioni crudeli o degradanti, si chiede come si può discutere sull’estradizione di Assange in un processo ‘da spettacolo’ quando gli Stati Uniti si rifiutano di processare i loro torturatori e criminali di guerra, o quando il proprio Assange non si trova neppure nelle condizioni mediche (fisiche??) per assistere al suo proprio processo attraverso collegamento video. È lo stesso, non è un processo, è un’esecuzione. Succeda quel che succeda, i nordamericani, gli occidentali e tutta la loro conclamata democrazia hanno già vinto, hanno già spaventato pubblicamente potenziali giornalisti e denuncianti di casi di corruzione. Hanno già raggiunto il loro obiettivo.
Ben Wizner, direttore dell’Unione Statunitense per le Libertà Civili, ha affermato che quello che ha fatto Assange è lo stesso che da decenni fanno i media internazionali, e che mentre questi sono stati elogiati per aver pubblicato l’informazione di WikiLeaks, Assange si è trovato a essere giudicato per alcuni reati che, in ogni caso, furono commessi da Chelsea Manning. Restando, inoltre, impunita il fattore più rilevante del tema: i crimini di guerra che militari degli Stati Uniti e del Regno Unito hanno commesso in Iraq e in Afghanistan.
Amnesty International ha intrapreso una campagna di raccolta firme che ostacolino l’estradizione agli Stati Uniti, poiché secondo l’ONG, se Assange fosse trasferito negli USA “sarebbe seriamente esposto a soffrire violazioni di diritti umani”.
WikiLeaks, da parte sua, ha ricordato che l’informazione pubblicata da Assange ha dimostrato che gli Stati Uniti non solano hanno commesso crimini di guerra, ma ha anche ucciso bambini e due giornalisti di Reuters.
Il Gruppo di Puebla e del Consiglio Latinoamericano di Giustizia e Democrazia (CLAJUD), formato, tra gli altri, anche dagli ex presidenti latinoamericani Lula da Silva, Dilma Rousseff, Ernesto Samper o Fernando Lugo, ha cercato di appoggiare Julian Assange rilasciando un comunicato dove affermano che “non solo si tratta di un grave errore giudiziario che mette in pericolo la sua vita, come affermano i suoi avvocati difensori, ma inoltre crea dei gravi precedenti nella violazione del diritto umano alla libera espressione”.
Sicuramente, il destino di Assange, anche se uscisse vittorioso da questo interminabile calvario, è già deciso. Perché, succeda quel che succeda i nordamericani, gli occidentali e tutta la loro conclamata democrazia hanno già vinto, hanno già spaventato pubblicamente potenziali giornalisti e denuncianti di casi di corruzione. Hanno già raggiunto il loro obiettivo, perché dopo che Assange ha pubblicato le rivelazioni più importanti da decenni è stato processato, screditato, delegittimato, arrestato, picchiato, denigrato e umiliato. Giustiziato socialmente davanti a tutto il pianeta, per dare un esempio di cosa aspetta a chi osi dimostrare che la democrazia occidentale non è quella che sembra essere. Per questo motivo, Julian Assange è fisicamente e psicologicamente un “relitto” in confronto a quello che era, un cadavere in vita. Quella è la maledizione di Assange, la dimostrazione dell’assenza reale di valori democratici e la ragione fondamentale per la quale il suo destino è deciso: non sarà mai l’eroe che merita essere, ma il villano che gli Stati Uniti desidererebbero che fosse. Perché una simile ingiustizia giuridica? Per aver rivelato i crimini di guerra degli Stati Uniti e del Regno Unito in Iraq? Per essere onesto o per avere rivelato tali brutalità? Quella è la maledizione di Assange, la dimostrazione dell’assenza reale di valori democratici e la ragione fondamentale per la quale il suo destino è deciso.
Leo Nodari