Cecità è un romanzo di successo planetario dello scrittore portoghese, premio Nobel, Josè Saramago. Da bravi fratelli, per tanti anni, la televisione e il cinema si sono spartiti la letteratura . Non c’è bisogno di ripetere quanto il cinema sia influenzato dalla letteratura, e quanto la seduzione della letteratura sia irresistibile per tutte le arti. Così, in una città come Teramo Mario Puzo ebbe gioco facile nella stesura del libro “The Godfather” che ispirò “Il Padrino”, film dove – nel silenzio complice e servile della stragrande maggioranza – esistevano gruppi capaci di gestire budgets, far fallire banche solide, costruire università fuori e dentro, dare fondi a industrie inesistenti mentre la zona industriale e il lavoro sparivano, mettere dei cretini burattini a guida degli enti pubblici, e dei servi raccomandati negli uffici, svuotare i campi per fare ospedali, umiliare i giovani preparati e vogliosi costringendoli a fuggire, e naturalmente condizionare il potere politico usando come marionette dei codardi, e piegando il sistema giudiziario pauroso e palamaroso, una città dove la legge è stata annullata, il diritto calpestato e le regole riscritte.
Oggi è stata scelta nuovamente Teramo per girare un film ispirato al best seller del nobel Saramago. A guidare il film sarà il re Giangiorgio III, sovrano del Vezzola e Tordino, con i suoi vassalli che meritano un film a parte. In una città mai così sporca, un automobilista fermo al semaforo, dentro le pozze di via Crucioli, si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. La sua malattia, però, è peculiare: infatti egli vede tutto bianco. Tornato a casa con l’aiuto di un altro uomo (uno di quei “buoni” che fanno tutto per beneficenza ma la beneficenza è per loro….nel film è un ladro) racconta l’accaduto a sua moglie. I due si recano da un medico specialista in viale Crispi, uno di quelli che fanno le visite ma mai le fatture, che in città ce ne sono parecchi, dove trovano un “vecchio con una benda nera” su un occhio, un “ragazzino strabico”, accompagnato da una donna e una “ragazza dagli occhiali scuri”.
Ben presto la cecità comincia a diffondersi. A viale Bovio c’è uno che dà l’impressione di guidare gli uomini, cosa evidentemente impossibile per un cieco. A piano della lenta c’è un condannato per spaccio di droga, amico degli albanesi, che si candida a sostegno dei moralizzatori. Nel vecchio fortino di Piano della lenta altri ciechi allo sbando. La città è allo sbando, via Savini è tutta dipinta di blu, con apparecchi mangiasoldi chiamati dissuasori che appaiono a sorpresa, le bici elettriche per il pubblico usate dagli assessori misteriosi che non rispondono alle domande e pensano di usare i soldi loro per gli affari loro, Ma tutto questo sembra non interessare alla città lamentosa e ruffiana dove tutti gridano, “ma chi è cussù, di chi è lu fij, è amico mio , mi fa lu favor, nu pusticill, nu piccol’ imbruje , la porchetta ci sta ?? Solo questo mi interessa” Così in questa complice indifferenza, nel disinteresse per ciò che è pubblico “La cecità lentamente dilaga, non come una marea repentina che tutto inonda, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente.”
Così ben presto i ciechi si ritrovano abbandonati, perché la cecità si diffonde fino a colpire tutto il paesone. Così inoltre, un gruppo di ciechi (i “ciechi malvagi”) s’impossessa di tutte le razioni di cibo provenienti dall’esterno per poter ricattare gli altri malati e ottenere potere e altri vantaggi. Presto si vedono i risultati dell’epidemia. Negozi chiusi anche in centro, città buia e grigia, sporcizia ovunque, persone in difficoltà abbandonate, ubriaconi che impazzano ovunque, tossici in libertà, violenza ogni notte, la città in totale abbandono, con gruppi di ciechi che lottano l’uno contro l’altro senza più la dignità sottratta;
Come scrive mirabilmente Saramago nel suo racconto fantastico “Non sono diventati ciechi, secondo me lo erano già. Ciechi che, pur vedendo, non vedono ciò che accade nella città”. Nel film del regista D’Alberto – costretto a fare tutto da solo perché per comodità si è scelto uno staff incapace – la città si trova come avvolta in una nube lattiginosa e non ci vede più. Le reazioni psicologiche degli anonimi protagonisti sono devastanti, con un’esplosione di indifferenza che mette paura. Gli effetti di questa misteriosa patologia sulla convivenza sociale risulteranno drammatici. La sera dopo le 20,00 la città si svuota. E’ buia ovunque. Così il regista crea una grande metafora di un’umanità, incapace di vedere e distinguere le cose su una base di razionalità, artefice di abbrutimento, degradazione, codardia. Ne deriva un film di valenza universale sull’indifferenza, sul potere logoro, su una guerra di tutti contro tutti per conquistare nulla, una dura denuncia del buio della ragione, con un catartico spiraglio di luce e salvezza. Del resto, “cecità è vivere in un mondo dove non vediamo attorno a noi, e non ci interessa ciò che accade”.