Tornano le notti magiche dei campionati europei di calcio. E con loro un sogno di normalità. Tornano per le strade le magliette azzurre. È un sabato caldo, con i tavolini dei caffè, in piazza, ovunque pieni di tifosi, le file fuori dai ristoranti e i marciapiedi affollati. Oggi in campo ci sarà la formazione guidata da Roberto Mancini, ragazzina e coraggiosa, da cui gli italiani si aspettano una carica di entusiasmo. Un sabato come non se ne ricordavano da mesi e mesi. Cinquantatré anni fa, all’Olimpico, un giovane Giacinto Facchetti alzava al cielo il primo ed unico trofeo europeo vinto dagli azzurri. In un legame ancestrale con i sentimenti del Paese, e per le strade è tornata la festa. Proprio quello che serviva.
E’ il primo grande evento continentale post pandemia. E’ la festa dei popoli, il primo torneo Uefa itinerante a 60 anni dalla prima edizione assoluta. Un Europeo che non cancella le tensioni sociali e politiche, né annulla le inquietudini della pandemia. Ma gli amici potranno ritrovarsi insieme, a recuperare il tempo vissuto distanti, in queste notti magiche. Nel cammino verso la Final Four di Londra.
Un sogno per tutti. Perché sappiamo tutti che il calcio è un fenomeno non solo sportivo. E un’antica festa crudele. La storia del calcio è lì a confermarlo. E’ una festa crudele che continua.
C’è ormai una campagna da promuovere ogni domenica, anzi con il “calcio spezzatino” ogni santo giorno. Si va dal “salvate la tigre” dei tempi di Jack Lemmon, al “no all’acaro del tappeto”, alle più serie e solidali “fondi per la ricerca sul cancro e per la Sla” . Ma quando c’è da dire un forte “No al razzismo” nascono i distinguo.
Ecco, la lotta al razzismo. Il gesto di inginocchiarsi da parte dei calciatori che partecipano a Euro 2020 per dare il loro appoggio ideale al movimento “Black Lives Matter” sembra un gesto positivo e quasi doveroso. Un segno di rispetto verso tutte le forme di violenza e sopraffazione. Un gesto contro l’intolleranza e il sopruso. Un momento educativo.
Non la pensa così la maggioranza dei calciatori della Nazionale, che la Federcalcio ha lasciato giustamente liberi di esprimersi come vogliono. Ma va bene, proviamo a lasciare fuori la politica dal calcio, anche se la nostra è di fatto una “Repubblica fondata sul pallone”, dove ogni anno ci sono in media più interrogazioni e interpellanze parlamentari per questioni calcistiche che per la povertà nazionale. Rispettiamo la decisione presa dai non “inginocchiati”, ma invitiamo umilmente gli Azzurri, utenti forti dei social, a non intasare la rete solo di fotoshop e banalissime storie su Instagram e a prendere ogni tanto parola su temi importanti come, appunto, la lotta al razzismo. Lo chiediamo apoliticamente, perché i bambini, i più giovani, cari Azzurri, vi guardano e spesso – forse anche in maniera eccessiva – vi considerano loro modelli. Siete punti di riferimento, piaccia o non piaccia, anche perché gli abitanti piccoli e grandi di questo strano Paese, ormai fanno fatica a cogliere la differenza tra un calciatore, un politico e un ultrà.
Inginocchiarsi, pochi secondi, per dare il sostegno al movimento Black Lives Matter e alla lotta contro le discriminazioni è una pratica consolidata da ormai un anno in Premier League, campionato di appartenenza per molti di loro. Il caso emblematico è quello di Jorginho, che per tutta la stagione si è inginocchiato prima delle partite del Chelsea ma non ha fatto lo stesso contro il Galles. È abbastanza evidente che non ci sia alcun pregiudizio ideologico da parte degli azzurri in campo ieri. Ma è altrettanto chiaro che quell’immagine, lanciata e rilanciata sui social, sia la fotografia di un’occasione persa, frutto di un atteggiamento ancora troppo pigro, da parte dei nostri sportivi, nei confronti di temi impegnativi come quelli legati al movimento Black Lives Matter. E’ ovvio che in Federcalcio manca l’idea del ruolo sociale dei campioni dello sport.
C’è un frame che resta e lascia qualche interrogativo. La mancata consapevolezza della valenza di certi gesti, nel 2021, non è più un dettaglio da sottovalutare per un’atleta di primo livello. Da ormai un anno questo tipo di manifestazioni sono diventate parte degli eventi sportivi e alcuni gesti veicolati da personaggi così seguiti hanno dimostrato di poter far presa su un pubblico vastissimo. L’esempio lampante è quello che è avvenuto in NBA in tutta la seconda parte del 2020, quando gli atleti della lega più importante del mondo hanno dimostrato la stretta la correlazione tra la vita reale e lo sport. Perché è quello il cuore della questione: lo sport non è più solo sport. E chi ne fa parte dovrebbe averlo capito da un pezzo.