Si sono incontrati a Rimini. C’erano tutti. Per la prima volta tutti insieme. Hanno litigato su tutto: fascismo e antifascismo, obesi e saluti romani, razzisti e traditori, tasse al 10%, 15%, per tutti, no per qualcuno, elezione diretta del capo dello Stato, amici e i nemici de l’Italia. Ma l’autunno del nostro scontento è il grande assente di questa fase: il costo delle bollette, l’Ucraina che non passa, la crisi delle imprese, il paese reale rimosso dal dibattito e dalle liste, diventate una scialuppa di salvataggio di una politica che affonda come il Titanic e mette in salvo i soliti noti, per poi passare ad amici, parenti, famigli. Su una sola cosa centro destra e centro sinistra vanno perfettamente d’accordo: il potere, il loro potere, il potere dei capi partito di scegliere i candidati e di conseguenza gli eletti in parlamento. Il voto dei cittadini deciderà la vittoria di questo o quel partito, di questa o quella alleanza ma chi saranno i futuri senatori e i futuri deputati lo hanno deciso i capi. Segretari, presidenti, leaders dei partiti – grandi o piccoli, di destra o di sinistra o di centro non fa differenza – sono sempre solo loro a staccare i biglietti di ingresso in parlamento. Non sono previste procedure democratiche o, se erano previste, sono state disattese così che, alla fine, ovunque  è stato l’arbitrio del capo. Senza distinzioni.

Franceschini e la sinistra “diversa” di Fratoianni che candidano la moglie, tante volte non dovesse bastare uno stipendio. La legge bronzea del nepotismo a cui non sfugge nemmeno Meloni che riporta in parlamento il cognato Lollobrigida. Il caso estremo di disordine e di arbitrio resta quello dei 5 Stelle: dopo liti furibonde mentre il movimento perdeva pezzi da tutte le parti lo statuto scritto da Conte gli ha consentito di piazzare  una paio di mariti e mogli di fedelissimi e altri suoi fedeli nei pochi collegi sicuri e di escludere Virginia Raggi, l’unica che avesse ottenuto un buon risultato alle amministrative. Ricordate le file ai gazebo e il Partito Democratico che per scegliere i candidati aveva importato in Italia il modello americano delle “primarie”? Se ne è stancato ed è regredito ai riti del tempo che fu. E la regola che impone il 40 per cento di candidate donne è stata disattesa in tutte le 6 regioni del sud. La regola del limite di non più di tre mandati completi – ovvero il numero di volte in cui si può essere candidati – è diventata un optional: vale per alcuni ma ne sono esentati altri come l’eterno ministro Franceschini che giunto alla sesta legislatura anziché uno stop ha ottenuto che anche la moglie sia candidata. Nessuno eguaglia l’intramontabile Ferdinando Casini che doppierà l’undicesima legislatura per garantire la difesa della Costituzione dalle riforme di Giorgia Meloni. Curioso: una riforma presidenzialista Casini l’aveva già votata nel 2005 quand’era alleato e vice di Berlusconi.

Si potrebbe continuare a lungo con l’elenco dei “penosi misfatti” e delle “pietose bugie” con cui i maggiorenti di oggi cercano di coprire le loro piccole o grandi “vergogne”, ma il punto cruciale è un altro,  di elezione in elezione è stato eroso e poi sovvertito il fondamento della democrazia. E così si è creato un fossato tra cittadini e politica. Quindi negando il valore reale della democrazia. Perché, in ogni vera democrazia, è la base a eleggere liberamente i suoi vertici, sono i cittadini, a scegliere deputati e senatori. Viceversa in Italia, da gran tempo, una ristretta cerchia di capi politici ha sequestrato questo potere e potendo scegliere chi candidare e chi no, di fatto, decide chi saranno i rappresentanti del popolo. Così ancora una volta il prossimo 25 settembre avremo un parlamento non di eletti ma di cooptati cioè di nominati dai rispettivi capi partito. C’è da meravigliarsi se si parla di astensione come primo partito che si attesta al 40%? 

Io non mi meraviglio perché la differenza è abissale: un conto è un senatore o un deputato che attraverso una procedura democratica ha ottenuto la candidatura della sua parte e poi il voto degli elettori naturali cioè dei suoi concittadini che lo conoscono e ai quali deve rispondere dei suoi atti. Tutt’altro accade quando si viene cooptati da un capo politico all’interno di una lista bloccata e i cittadini sono privi della possibilità di scegliere chi li rappresenterà. Questo corrompimento della democrazia è causa primaria della disaffezione e dell’astensione di milioni di elettori . Se oggi, come dicono i sondaggi, un’ampia maggioranza di elettori si dichiara favorevole all’elezione diretta del Presidente della Repubblica è perché crede in tal modo di riappropriarsi del potere di scegliere da chi farsi rappresentare e guidare. Ma neppure un capo eletto dal popolo può curare l’assenza di democrazia, rischia anzi di darle il colpo di grazia.