TERAMO – Poste Italiane dovrà restituire 100.000 euro di contributi a 5 postine teramane. Dopo anni di iter giudiziari il Giudice del Lavoro di Teramo ha dato ragione alle dipendenti, difese dallo Studio legale degli Avvocati Paola Filipponi e Rodolfo Giampietro. Una sentenza storica. Vediamo perché.

La storia. A cavallo tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000, moltissimi lavoratori, tra cui le sigg.re Flavia Mucciconi, Marina Delle Monache, Patrizia Chicarella, Anna Santucci, Maria Puccitti furono assunti con contratto a tempo determinato trimestrale da Poste italiane.

Ritenendo i contratti in violazione della normativa all’epoca vigente,le lavoratrici intentarono causa nei confronti di Poste italiane affinché fosse dichiarato il loro diritto ad essere assunte a tempo indeterminato.
Il Giudice del Lavoro di Teramo, così come peraltro avvenne in tutta Italia, riconobbe il diritto dei lavoratori ad essere assunti a tempo indeterminato con condanna di Poste italiane a ripristinare il rapporto di lavoro con decorrenza ex tunc e a corrispondere tutte le retribuzioni maturate sino all’effettivo ripristino del rapporto di lavoro.
Poste Italiane Spa fu costretta pertanto a versare provvide ai lavoratori tutte le retribuzioni negli anni maturate al netto  di contributi previdenziali che ovviamente Poste italiane avrebbe dovuto versare all’istituto previdenziale.
In pendenza dei termini per il ricorso in Cassazione, Tra i lavoratori e Poste Italiane intervennero verbali di conciliazione nei  quali si stabiliva che I lavoratori  sarebbero stati assunti con decorrenza ex nunc con conseguente rinuncia degli stessi alle retribuzioni pregresse, mentre Poste Italiane Spa, da parte sua,rinunciava al ricorso in Cassazione.
Pertanto i lavoratori restituirono a Poste Italiane Spa le somme precedentemente ricevute maggiorate peró degli oneri previdenziali sul presupposto che Poste Italiane aveva nel frattempo già versato i contributi previdenziali al competente Istituto Previdenziale Ipost (poi successivamente confluito nell’INPS).

Tali oneri previdenziali tuttavia a distanza di molti anni non risultavano nell’estratto conto previdenziale.
Pertanto le lavoratrici sopra menzionate in varie occasioni si erano recate presso le locali sedi INPS al fine di accertare l’effettivo versamento dei contributi previdenziali, senza ricevere pero  alcuna risposta certa.

Pertanto le stesse negli anni 2014, 2016 e 2017 inoltravano, per il tramite degli avvocati Filipponi e Giampietro, varie richieste sia a Poste Italiane Spa, sia all’INPS rimaste sempre prive di riscontro.

Le lavoratrici nel 2018 si rivolgevano all’Autorità Giudiziaria affinché fosse accettato se Poste Italiane Spa avesse o meno provveduto al versamento dei contributi previdenziali loro spettanti, anche in considerazione del fatto che Poste aveva richiesto alle lavoratrici la restituzione anche delle somme dovute a titolo di contributi previdenziali.
Invero, ove Poste italiane non avesse provveduto a versare i contributi previdenziali a favore delle lavoratrici,le somme richieste a tale titolo avrebbero costituito un indebito arricchimento a danno delle stesse.

Nel giudizio, Poste italiane non si costituiva mentre l’INPS ammetteva per la prima volta, che i contributi non erano mai stati versati da Poste Italiane Spa.

Il tribunale di Teramo, con sentenza emessa dalla dottoressa Daniela Matalucci, riconoscendo l’indebito arricchimento, ha condannato Poste italiane a restituire complessivamente alle lavoratrici una somma superiore a 100.000 euro.
In sostanza: si tratta di una sentenza di cui non si rinvengono precedenti in territorio nazionale, che ha visto condannare per la prima volta

Poste Italiane per aver indebitamente trattenuto per sé, procurandosi in tal modo un indebito arricchimento, somme destinate alla contribuzione pensionistica dei lavoratori. Tipicamente “italiano “ anche il comportamento pre processuale dell’INPS che, dapprima non si è degnato di dare riscontro alle legittime richieste delle lavoratrici, sperperando in tal modo denaro e risorse interne per una costituzione in giustizio che poteva essere evitata dando riscontro alle note delle lavoratrici.