TERAMO – Scrittrice raffinata, pubblicata in decine di Paesi e tradotta in molte lingue, deve la sua fama internazionale principalmente a Martin Bora, tormentato ufficiale-investigatore tedesco ispirato alla figura di Claus von Stauffenberg, l’organizzatore dell’attentato a Hitler nel 1944, protagonista di una serie pubblicata per la casa editrice “Sellerio”. Sorprendente in questo caso la capacità dell’autrice di rendere positivo, e tanto amato, un personaggio che la Storia ha condannato.
Ben Pastor, ovvero Maria Verbena Volpi, all’anagrafe statunitense Verbena Volpi Pastor e con un padre teramano, nato a Bisenti. In Abruzzo torna spesso e conserva numerosi legami affettivi e con il mondo accademico; uno dei suoi romanzi “Il morto in piazza” è ambientato in un paese sul Gran Sasso, fra i numerosi riconoscimenti ricevuti anche il Premio Internazionale Speciale Flaiano per la Letteratura. Un’accademica prestata alla letteratura e al “giallo”con ambientazioni che risentono della sua vita “precedente” e delle altre grandi passione: la storia e la ricerca.
Nata a Roma nel 1950, dopo la laurea in Lettere con indirizzo archeologico si trasferisce negli Stati Uniti, di cui poi ottiene la cittadinanza (senza rinunciare a quella italiana); sposa un ufficiale dell’aeronautica militare (da lui mutua il cognome Pastor), insegna Scienze Sociali in varie Università (Ohio, Illinois, Vermont) e svolge un’intensa attività saggistica e didattica, spaziando dalla letteratura agli studi sulla “mente genocidiale”, dall’etnomusicologia al femminismo in letteratura, dall’archeologia greca e latina alla storia dell’emigrazione italiana in Vermont. Parallelamente al lavoro accademico si cimenta nel giallo storico scrivendo numerosi racconti per le principali riviste poliziesche, Alfred Hitchcock’s Magazine, The Strand Magazine, Ellery Queen’s Mystery Magazine.
Con i suoi racconti fa incursioni anche nelle “storie di fantasmi” Remedios and the Men e soprattutto Achille’s Grave (compreso nella raccolta Ghost Writing insieme a scritti, tra gli altri, di John Updike e Peter Straub), dove emergono con chiarezza due dei temi centrali della narrativa di Pastor: l’amore per l’antichità classica e la dolente riflessione sulla condizione esistenziale dell’uomo in guerra.
Nel 2000 pubblica negli USA Lumen, il primo romanzo della serie di Martin Bora. Lumen ottiene un lusinghiero successo internazionale e i romanzi con questo personaggio (l’ultimo “La notte delle stelle cadenti”) vengono tradotti e pubblicati in molti Paesi.
Tutt’altra ambientazione ne I misteri di Praga e La camera dello scirocco, dove Pastor costruisce un complesso meccanismo poliziesco collocato alla vigilia della Prima guerra mondiale e ambientato nella Praga magica di Kafka e di Joseph Roth.
I suoi riferimenti letterari sono molto vasti, e oltre all’amatissimo Simenon, nel suo sito elenca gli scrittori che preferisce: Joseph Conrad, William Faulkner, Nikos Kazantzakis, Federico Garcia Lorca, Alessandro Manzoni, Herman Melville, Yukio Mishima, Toni Morrison, Joseph Roth, Eudora Welty.
Alcuni critici hanno definito i suoi romanzi postmodernismi; originali per struttura narrativa le sue storie si caratterizzano per il meticoloso lavoro di ricerca sulle fonti più simile a quello dello storico che del romanziere: una scrittura alta, letteraria, tridimensionale, polifonica, sebbene il personaggio di Bora predomini tra le tante voci. Di Bora conosciamo i pensieri, gli scritti del diario ma lo vediamo dall’esterno filtrato da una narrazione in terza persona.
“Scrivo di soldati – si legge nel suo sito – è ovvio che non condivido l’opinione di Samuel Johnson, secondo cui il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie. Né credo a quel che mi diceva anni fa un intristito collega di docenza universitaria, ovvero che il mondo accademico è il penultimo rifugio delle canaglie. In un modo o nell’altro, a volte contemporaneamente, ho avuto a che fare con questi due mondi tutta la vita. Anni di insegnamento in un college militare hanno quadrato il cerchio, saldando l’anello fra la mia preparazione accademica nell’antichità classica e l’interesse per la vita del guerriero passato e presente. E parlando di saldature, sono anche una di quelle persone che per vari motivi si trovano sempre e comunque in terra di confine. Sono cresciuta tra due province italiane, più tardi ho vissuto in una regione di frontiera e poi lungo il fiume che separa due Stati americani, l’Illinois e il Missouri. Ho risieduto in quella repubblica di confine per eccellenza che è il Texas, dopodiché è stato il turno dell’Ohio, vecchia porta del West, e quindi del Vermont che guarda il Canada. Quando sono in Italia, abito un pezzo di terra che per mille anni ha rappresentato il confine tra due comuni, province, regioni, stati; e in più si trova sul 45° parallelo.
Mi sembra che questo dimorare sull’intrigante margine fra culture mi racconti meglio di qualsiasi altro dettaglio biografico. Dall’esterno posso apparire affascinata da dicotomie inconciliabili: guerra e pace, passato e presente, crimine e giustizia, maschio e femmina, potere e mancanza di potere… Ma come è vero per i confini naturali, cioè che esiste sempre una terra di nessuno, mi rendo pienamente conto di tutto ciò che vive e brulica fra due opposti: qui è il succo, la scintilla e il pungiglione abitano qui; ed è qui che come persona, scrittrice e studiosa preferisco passeggiare”.
Alla presentazione interviene il presidente di Big Match, Alfredo Natali: conversano con la scrittrice Giuseppe Tellone di “Detto fra noi” e la giornalista Pina Manente.