Lo scrittore israeliano Uri Orlev  scrive del giorno in cui suo figlio gli chiese di raccontargli le sue esperienze nei campi di sterminio nazista: “Si domandò cosa avrebbe potuto capire un bambino e concluse che la risposta era solo una: la paura. È questo quello che dobbiamo fare per trasmettere la memoria della Shoah. Dare ai ragazzi un quadro al quale possano avvicinarsi”.  Per questa ragione anche quest’anno , grazie alla sensibilità di numerosi dirigenti scolastici e la disponibilità dell’avvocato Luigi Guerrieri   il ” Premio Borsellino tutto l’anno”  sarà in tante scuole abruzzesi  dando il proprio contributo affinche  il Giorno del Ricordo  possa  finalmente diventare patrimonio di tutti, senza spazio per odiosi negazionismi e ambigui distinguo. Lo dico con convinzione, da decenni – anche quando era assai più difficile di oggi – per dare voce e corpo alla memoria di quei fatti terribili e per troppo tempo vergognosamente rimossi dalla consapevolezza collettiva. Abbiamo bisogno di parole e gesti appropriati per gli uni e per gli altri. Abbiamo bisogno di gesti chiari e netti. Ogni abisso di disumanità, ogni discriminazione assassina, ogni pretesa di negare la dignità e la vita stessa di altri esseri umani va riconosciuta per la gravità specifica della ferita che arreca. E basta a generare memoria. E ricordo merita.

Perché – è questa la maggiore preoccupazione che esprimono tutti i testimoni –  il tempo può rendere il tutto opaco, sfilacciare la riflessione. La storia, invece, silenziosa, ma assordante nella tragedia peggiore -quella di essere dimenticati- ci spinge a ricordare, a fare di questo Giorno della Memoria 2022 un momento alto di parola. La Shoah, lo sterminio ci porta ad un ricordo di ciò che è perfino indicibile nella sua enormità, ma che (come ci ha insegnato Annah Arendt proprio a Teramo) rischia nella sua banalità del male di essere altre volte ripetuto per nuovi odi razziali, o di essere revisionata come si dice oggi, e perfino giustificato. All’ingresso del lager di Mauthausen c’è una targa che elenca, nazione per nazione, le vittime lì assassinate. I numeri impressionano (ci sono anche decine di migliaia di italiani). I grandi numeri della targa estraniano la percezione della realtà. Nella dolce vallata danubiana il posto pare surreale. Qualche ragazzo lo potrebbe scambiare per il set di un film dell’orrore. Ma poi, quando si arriva ai forni crematori tutto ci crolla addosso. Nelle migliaia di fotografie appiccicate dai parenti, e nelle dediche, la vita ci viene addosso con tutto il suo precitato di dolore vissuto veramente, corpo per corpo, anima per anima, storia per storia. E’ un dolore così grande da diventare inspiegabile. Questo è un altro aspetto della memoria che non dobbiamo perdere sulla Shoah: il ricordo individuale di ognuno dei deportati, la vita spezzata, gli affetti lacerati, il lutto. Perfino il senso di colpa di chi si è salvato, così bene descritto da Primo Levi.

L’antisemitismo, come tutte le forme razziste e totalitarie, ha permeato la civiltà occidentale e a periodi riemerge in forme sempre diverse, ma comuni negli istinti e negli effetti. Possiamo correre il rischio di crederlo un fatto endemico, quasi normale. Anzi, è spesso dalle barzellette e dalle ironie che si inizia. Il razzismo è una ferita storica della cultura europea e mondiale, della sub-cultura che fonda nella razza, nel mito del “sangue e terra”, dell’ “haimat”, la sub-ragione di una violenza senza limiti, del disprezzo indicibile, ci fa vergogna di chiamarsi umani. Ma è della nostra civiltà lo scontro continuo tra violenza e pace, l’incontro e lo scontro continuo tra popoli e differenze. La nostra civiltà è sempre ad un bivio. La convivenza e la tolleranza sono da conquistare ogni giorno. La Shoah è un evento che ha ridotto al rango di non persone, e al destino di fumo che usciva dai camini, milioni di cittadini ebrei con il solo delitto di essere tali. Il razzismo in varie forme  non nasce con il nazismo e il fascismo, viene da lontano. E, come tutti i teoremi delle razze e delle purezze delle razze, è sempre dietro l’angolo. Per questa ragione ribadiamo con forza che “Non c’è futuro senza memoria”. Non c’è futuro senza il respiro dei giovani, senza il nostro consapevole passaggio di testimone a loro del mondo che è stato, nei suoi splendori e nelle sue tragedie. Quel ricordo vivo e partecipe che non può cambiare il passato che non si può comprendere ma occorre conoscere”, ma deve aiutarci a rendere migliore il presente e a illuminare e proteggere il futuro di tutti.

Leo Nodari