Mi è venuta così, spontaneamente, l’immagine del sole, forse perché Sole è il nome che questo eroe del nostro tempo aveva dato alla sua piccola, che oggi ha cinque anni.
Sto parlando di Davide De Carolis, un volontario del soccorso che l’altruismo lo aveva scritto nel suo DNA.
Basti pensare che in terza elementare aveva raccolto un gruzzolo, frutto dei suoi doni di Natale, per regalarlo ad un compagno meno fortunato di lui: di fronte all’insegnante, imbarazzata nel rilevare questo comportamento insolito e perplessa nel constatare che un bambino avesse con sé quella somma di denaro, i genitori ebbero la risposta adeguata perché ben conoscevano l’indole del loro figlio: dissero che se Davide aveva pensato di agire così, aveva percepito in sé che non poteva sottrarsi da quell’atto donativo.
Così si è sempre comportato Davide nella sua breve ma intensa vita: proteso in qualsiasi situazione a stendere la mano in favore di chi era nel bisogno, anche quando questo non era neppure espresso.
Perché c’è una parola, che è sempre più rara e qualifica una merce quasi introvabile di questi tempi: l’altruismo.
Una qualità che ha accompagnato Davide fino agli ultimi momenti della sua vita, quando si è intrattenuto per dieci ore a parlare con un ospite dell’hotel di Rigopiano, in attesa che squadre di soccorritori lo prelevassero per portarlo in superficie: il suo continuo, insistente colloquio in condizioni proibitive era dettato dalla consapevolezza che se avesse solo per un attimo interrotto quel filo di speranza, quella persona si sarebbe lasciata andare ed avrebbe smesso di resistere.
Una settimana dopo, malgrado la stanchezza di tutti gli interventi che lo vedevano in prima linea in quel terribile gennaio 2017, non si sottrasse nel sostituire un collega volontario, impossibilitato a prendere parte alla spedizione di un elicottero di soccorso levatosi in volo alla volta di Campo Felice (Aq).
Quell’elicottero, è bene ricordarlo, andava a trarre in salvo uno sciatore infortunato sui campi da sci, ma stava volando in condizioni proibitive: la visibilità era infatti scarsissima e nulla poté il pilota per evitare una montagna che ostruiva la traiettoria che avrebbe dovuto concludersi con l’atterraggio all’Ospedale de L’Aquila.
Il volo: un altro richiamo costante di Davide fin dagli anni della sua fanciullezza, quando chiese al padre di prendersi cura di una cornacchia dall’ala ferita: una volta che l’uccello riuscì a guarire, fu Davide per primo che pensò bene di restituirlo al cielo, perché grande era la sua sete di libertà ed era per lui impensabile che il medesimo anelito non fosse una esigenza di quella cornacchia che era stata da lui curata.
Vorrei concludere questo ricordo di Davide De Carolis, che commemoriamo al Parco della Scienza oggi, 24 gennaio 2019, a ventiquattro mesi da quella tragedia che lo fece volare in cielo, per sottolineare quanto bisogno c’è di persone esemplari soprattutto in questo tempo imbruttito dagli opportunismi e dalla voglia di sopraffare gli altri.
Una bella lezione di vita soprattutto nei confronti delle giovani generazioni…per illuminare i loro passi.
Ernesto Albanello