Oramai ci siamo. E’ arrivato Natale e non ho ancora comprato il regalo. Che vergogna. Neanche un regalo. E che vergogna. E che Natale è se non c’è il regalo. Che poi, si sa, più spendi e più vuoi bene. Più compri e più vuoi bene. Si sa.
A mia moglie un bel diamante, che non si accorga che ho l’amante.
A mio figlio il cellulare 6G, così mi gira le spalle prima e più velocemente. Che, del resto, se mi stesse a sentire non saprei che dirgli.
A mio marito una bella bottiglia, che se beve almeno mi fa un po’ ridere. Altrimenti è di una tristezza mortale.
E per me? Non è mai tardi per farci il regalo più grande che possiamo fare a noi stessi: ricordarci quali sono i veri doni che ci porta un bambino che nasce non per caso in una capanna: salvezza e speranza. Non è tardi per leggere il messaggio che annuncia la stella della terra martire di Betlemme: verità, liberazione, gioia .
Non è tardi per cercare il senso vero del Natale. Invece di affogare la nostra solitudine tra la gente, nei negozi, nei rumori, basterebbe fermarsi un attimo in silenzio davanti al presepe. Come ha scritto ieri il Papa “A Natale siamo invitati a metterci in cammino, con l’umiltà di Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo”.
Basterebbe fare qualche passo verso Betlemme. Se solo ci fermassimo a riflettere pochi minuti sulla fragilità di quel bambino, senza il dubbio di aver sbagliato percorso. Basterebbe questo per cambiare il nostro Natale. E la nostra vita. Perché, da quella notte, la mangiatoia degli umili è diventata il simbolo della gioia di Dio. Anzi, da quel Natale, il volto spaurito dei malati, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli ultimi della terra, sono divenuti il luogo dove Lui continua a vivere in clandestinità.
Non è tardi. Se solo provassimo a cercarlo mentre giriamo a vuoto sui percorsi bui della nostra vita, nelle nostre strade vuote, nei nostri giorni senza senso. A noi il compito di cercarlo. Se solo provassimo a riconoscerlo nell’altro che ci incrocia la nostra vita. A noi il compito di cercarlo. Mettiamoci in cammino, dunque, senza paura. Il Natale di quest’anno ci farà trovare Gesù e, con Lui, il bandolo della nostra esistenza redenta, la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è lungo, lo so. Molto più lungo di quanto non sia stato per i pastori. Ai quali bastò abbassarsi
sulle orecchie avvampate dalla brace il copricapo di lana, allacciarsi alle gambe i velli di pecora, impugnare il bastone e scendere giù per le gole di Giudea, lungo i sentieri odorosi di sterco e profumati di menta. Per noi ci vuole molto più che una mezz’ora di strada. Dobbiamo attraversare venti secoli di storia. Dobbiamo valicare il pendio di una civiltà che qualificandosi cristiana, stenta a trovare l’antico tratturo che la congiunge alla sua ricchissima sorgente: la
capanna povera di Gesù.
Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è faticoso, lo so. Molto più faticoso di quanto è stato per i pastori. I quali, in fondo, non dovettero lasciare altro che le ceneri del bivacco, le pecore ruminanti tra i dirupi dei monti, e
la sonnolenza delle nenie accordate sui rozzi flauti d’Oriente. Noi, invece, dobbiamo abbandonare i recinti di cento sicurezze, i calcoli smaliziati della nostra sufficienza, le lusinghe di raffinatissimi patrimoni culturali, la superbia delle nostre conquiste… per andare a trovare “Un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”.
Andiamo fino a Betlemme. Il viaggio è difficile, lo so. Per noi, disperatamente in cerca di pace, ma disorientati, e costretti ad avanzare a tentoni tra infiniti egoismi, ogni passo verso Betlem sembra un salto nel buio.
Andiamo fino a Betlem. E’ un viaggio lungo, faticoso, difficile, lo so. Mettiamoci in cammino, senza paura. E dal nostro cuore, non più pietrificato dalle delusioni, strariperà la speranza