PESCARA – Quanto accaduto nei giorni scorsi nel carcere di Pescara riaccende i riflettori in maniera preoccupante sulla casa circondariale, da tempo alle prese con una serie di problemi irrisolti che meritano la massima attenzione istituzionale. Il suicidio di un giovane detenuto e una violenta rivolta negli spazi del carcere del capoluogo adriatico, mi spingono a sollecitare al Governo un intervento ormai improcrastinabile.
Come ho già fatto negli anni passati, torno a chiedere al ministero della Giustizia e all’Agenzia del Demanio la delocalizzazione della casa circondariale di Pescara. I recenti episodi, hanno messo ancora una volta in luce il profondo malessere che vivono quotidianamente i reclusi e il personale della polizia penitenziaria, un disagio che appare inconcepibile soprattutto perché si protrae da tempo immemore, con allarmi costanti e ripetuti fino allo sfinimento dai rappresentanti dei lavoratori, mai affrontati alla radice.
I problemi del carcere locale, da quelli strutturali a quelli legati alla carenza di personale, vanificano o comunque mettono pesantemente a rischio la funzione del carcere stesso, che deve sempre mirare alla rieducazione e al reinserimento sociale, e rendono impossibile il lavoro della polizia penitenziaria.
Era il mese di gennaio 2021 quando ho formulato la mia prima richiesta di delocalizzazione del carcere, mettendo in evidenza l’opportunità di pensare a un sito alternativo, trattandosi di un evidente detrattore ambientale in una città che si va trasformando e riqualificando sempre più e che ora guarda anche alla fusione con i comuni di Montesilvano e Spoltore. E questo processo di rinnovamento ci impone di avere uno sguardo sempre più globale che affronti nodi rimasti troppo a lungo insoluti.
Nelle missive dell’epoca, indirizzate al sottosegretario, al ministero e all’Agenzia del demanio, parlavo anche dell’obiettivo virtuoso di promuovere la realizzazione di moderne strutture carcerarie da collocare nel più ampio territorio provinciale o comunque in zone meno antropizzate, implementando i servizi penitenziari. Oggi, a distanza di anni, con la medesima convinzione di allora, torno a lanciare lo stesso identico appello aggiungendo che non c’è tempo da perdere, che una soluzione va cercata e attuata, e che bisogna muoversi all’unisono, dal Governo fino al livello istituzionale locale, per marciare insieme e con convinzione verso la soluzione di un problema che non può più essere rinviato.
Quel dialogo istituzionale che ci ha già consentito di affrontare positivamente altre emergenze del territorio va attivato quanto prima per individuare risposte a una questione delicatissima per chi la vive in prima persona ma che interessa più in generale tutta la collettività pescarese, se si tiene conto che attualmente il carcere è inserito nel contesto urbano, in un’area con caratteristiche profondamente diverse rispetto al periodo in cui è stato costruito.
La filiera che parte dal Comune di Pescara, passa per la Regione Abruzzo e arriva in Parlamento e al Governo è stata, negli ultimi anni, foriera di risposte per il territorio e il mio auspicio è che l’esito sia lo stesso anche per quanto attiene alle istanze sul carcere pescarese.
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