VENEZIA – Negli ultimi 20 anni la ricchezza dell’Italia è cresciuta mediamente dello 0,2% ogni anno. Un dato riconducibile, in particolare, agli effetti negativi provocati dalla grande crisi iniziata nel 2008. Nonostante sia trascorso oltre un decennio da questo evento, assieme alla Grecia siamo l’unico Paese dell’area dell’euro a non aver ancora recuperato la situazione ante-crisi. Rispetto a 12 anni fa, infatti, dobbiamo riconquistare’ ancora 4,2 punti percentuali di Pil, ma anche 19,2 punti di investimenti, 5,9 punti di reddito disponibile delle famiglie e 1,4 punti percentuali di consumi delle famiglie. Lo sottolinea la Cgia di Mestre, rilevando che queste difficoltà continuano a perdurare, nonostante la platea degli addetti sia aumentata: sempre in questa ultima dozzina di anni, infatti, gli occupati sono cresciuti dell’1,6%. Nonostante questo aspetto positivo, il monte orario e il livello medio delle retribuzioni sono diminuite, a causa di un deciso incremento della precarietà, mentre la disoccupazione è aumentata dell’81% (il tasso medio annuo era al 6 e ora si aggira attorno al 10%). Con meno soldi a disposizione, dobbiamo ancora recuperare 5,9 punti di reddito disponibile delle famiglie e 1,4 punti di consumi. Dall’analisi di questi indicatori, infine, l’unico segnale veramente positivo giunge dalle esportazioni: rispetto al 2007 sono salite del 17,5%, interessando, principalmente, le regioni del Centronord. “Va comunque sottolineato – commenta il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo – che l’andamento medio della ricchezza prodotta in Italia risente delle forti differenze esistenti tra Nord e Sud. Negli ultimi 20 anni, ad esempio, il Settentrione è cresciuto del 7,5%, il Mezzogiorno, invece, è crollato di 6 punti percentuali. Sempre in questo arco temporale, la crescita media annua registrata nel Settentrione è stata dello 0,4%, pari al doppio del risultato medio nazionale. Nel meridione, invece, il Pil medio annuo ha subito una contrazione dello 0,3. “Negli ultimi 18 anni – dichiara il Segretario della Cgia Renato Mason – solo in un anno, il 2009, il saldo primario, dato dalla differenza tra le entrate totali e la spesa pubblica totale al netto degli interessi sul debito pubblico, è stato negativo. In tutti gli altri anni, invece, è stato di segno positivo e, pertanto, le uscite sono state inferiori alle entrate. A ulteriore dimostrazione che dall’avvento della moneta unica, l’Italia ha mantenuto l’impegno di risanare i propri conti pubblici, nonostante gli effetti della crisi economica siano stati maggiormente negativi da noi che altrove”. E’ importante segnalare che tra il 2000 e il 2007 (anno pre-crisi) il trend di crescita delle regioni del Centro (Toscana, Lazio, Umbria e Marche) è stato superiore anche a quello del Nord (Piemonte, Valle d’Aosta, Liguria, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna). Successivamente, sebbene sia sceso come nel resto del Paese, il primato economico del Centro è proseguito anche nel periodo più nero della crisi (2008-2014). Solo dal 2015 il Nord è tornato a imporsi, distanziando le altre ripartizioni geografiche del Paese. Secondo la Cgia il tema degli investimenti rimane centrale per delineare qualsiasi politica di sviluppo economico. Senza investimenti non si creano posti di lavoro stabili e duraturi in grado di migliorare la produttività del sistema e, conseguentemente, di far crescere il livello delle retribuzioni medie e dei consumi – ANSA –