Dopo aver fatto riflettere chi mi legge, su un tipo di insidia che si annida nelle menti di molti, come non desiderare di uscire dopo la lunga quarantena, avendo valutato molto più protettivo e rassicurante restare all’interno delle mura di casa, ci troviamo oggi a fare i conti con qualcosa che non può essere rubricato come una coincidenza. A Teramo, nell’arco di 24 ore, due persone di età differente, una trentatreenne ed un sessantatreenne si sono tolti la vita. Un primo dato su cui vale la pena soffermarsi è che i giovani come gli adulti decidono di non proseguire la propria esistenza che, a loro modo di vedere, presenta più le caratteristiche di un fardello angosciante e tormentoso che di una opportunità che ci conduce verso la felicità.
Se mettiamo insieme varie tessere di un mosaico, il quadro che ne deriva è sconfortante.
Intanto i dati ci segnalano che nel mondo la depressione miete qualcosa come 260 milioni di vittime, poi che la Organizzazione Mondiale della Sanità collocava le malattie riconducibili alla depressione al secondo posto dopo quelle cardiovascolari e stabiliva questo balzo in avanti di questo quadro morboso nella evidenza che abbiamo indicato, proprio nell’anno 2020.
Queste previsioni erano state fatte molto prima che il covid.19 facesse la sua comparsa.
Qual è la linea di comportamento che assume la persona affetta dalla depressione, tale da contraddistinguerla rispetto ad altri disturbi mentali? Certamente la propensione a rinunciare, a chiudersi, a praticare quel “ritiro sociale” che trova giustificazioni più o meno individuabili, che sulle prime vengono “etichettate” come fenomeni passeggeri, ma che poi, con il tempo, si radicano, si stabilizzano in modo irreversibile.
A “spianare la strada” nella direzione di questa minore disposizione ad uscire, ad intraprendere iniziative, a fare incontri, ad intrattenersi con altre persone, è senz’altro la maggiore complessità che demotiva, fosse anche solo il condizionamento di indossare una mascherina o infilare dei guanti monouso.
Poi contribuiscono altri “percorsi ad ostacoli” come essere obbligati a prenotare, essere limitati nelle consuetudini al cameratismo che il distanziamento previsto, non consente.
Tutto ciò può essere sufficiente a trovare una giustificazione nel compiere un gesto così estremo come togliersi la vita?
Evidentemente no: dobbiamo, però, prendere coscienza che attraversiamo una epoca del nostro tempo in cui la fragilità ha assunto maggiori dimensioni.
Fortunatamente, vi sono delle iniziative che lasciano ben sperare su una inversione di tendenza.
La notizia che ha suscitato il mio interesse ci porta ad un piccolo comune della provincia di Padova, Villa del Conte, che ha una popolazione di 5.600 abitanti.
La sindaca di questo Comune, Antonella Argenti, ha compreso che dovesse essere compiuto un gesto per dare un aiuto concreto a favore di chi si trovava smarrito e confuso nell’affrontare la emergenza da coronavirus.
Per dare una risposta a misura di questa esigenza, ha istituito un “Assessorato alla Solitudine”. Il primo cittadino Argenti deve aver pensato che soprattutto le fasce più fragili della sua popolazione dovessero avere dalla istituzione civica una risposta adeguata, che permettesse ai suoi abitanti di non essere vittime della solitudine.
Ha così predisposto uno staff di nutrizionisti, dentisti, psicologi che circolasse ininterrottamente sul suo territorio e fornisse le risposte più adeguate per i bisogni emergenti.
Il Comune di Villa del Conte è stato segnalato all’attenzione del World Mayor Prize 2020 ed il suo sindaco è in corsa per ricevere la prestigiosa candidatura per il titolo di migliore sindaco del mondo.
Insomma, se il quadro resta a tinte fosche, cominciano ad essere intraviste delle luci in fondo al tunnel.
Speriamo siano sempre di più.
Ernesto Albanello