TERAMO – Accendeva la telecamera, la puntava sulla scrivania del suo studio televisivo, avviava il videoregistratore, si sedeva alla scrivania, leggeva il telegiornale, alla fine si alzava, si avvicinava al videoregistratore, lo spegneva, poi spegneva la telecamera. Poi in montaggio eliminava i suoi spostamenti e metteva in onda il telegiornale.

Lo faceva, gliel’ho visto fare. “One man show”: lo spettacolo di un uomo solo. Faceva tutto da sé. Era capace di fare tutto da sé. Molte volte e molto a lungo è stato costretto a fare tutto da sé, perché privo di mezzi e fornito di una sola arma: la sua tenacia. Fu uno dei primi a fare televisione con TVN e fu uno degli ultimi a farla come la si doveva fare, legandosi al territorio.

Una volta che ebbi uno dei miei primi scontri con un mio editore televisivo, mi propose: “Vieni da me, ti consegno la chiave e io me ne vado”. Quando ancora stava bene, ma non benissimo, ed era già immobilizzato, ci scambiavamo messaggi su Messenger e rievocavamo i vecchi tempi, ma mi faceva domande relative al presente, perché non aveva smesso di essere curioso. Lo ricordo sempre all’avanguardia.

Lo conobbi nel 1961 nella redazione de “Il Messaggero”, nella quale esordivo come redattore, la frequentava perché giornalista e curatore dell’immagine di un politico emergente di Cellino Attanasio, Mario Cipolla, socialdemocratico, che cavalcava la questione dell’estrazione del metano nella sua zona facendone un cavallo di battaglia, che lo portò anche a diventare assessore provinciale.

Aveva una Rolleiflex e soprattutto un flash con batteria a tracolla, che pesava qualche chilo. Me la prestò e me la portai a Roma all’università, la tenni con me per qualche tempo – parlo della batteria, perché la Rolleiflex non l’avrebbe data a nessuno -. Gliela ridiedi quando decisi io, senza che lui me la richiedesse.

Potrei scrivere un libro sulle avventure in comune che seguirono, e mi sorprendeva sempre. Come quando scoprii che lui aveva non poche registrazioni di molte trasmissioni di Verde Tv, con la quale la sua TVN si era gemellata, e mi inviò delle digitalizzazioni che supplirono alla perdita colpevole dell’immenso archivio della televisione a me più cara, tra quelle da me fondate. Lo ricordo ancora attivo nel campo televisivo, quando io avevo già smesso, con una telecamera nella destra e un microfono nella sinistra, pronto all’ennesima intervista da fare tutto da solo, prima di ingaggiare una promettente cronista da lui avviata al giornalismo.

I suoi baffi erano elettrici, come la sua mente, il suo parlare lento era come un biascicare poco comprensibile, ma la sua ironia e la sua autoironia erano insuperabili. Prendeva tutti sul serio, anche se stesso, ma dava l’impressione di non prendere nessuno sul serio, nemmeno se stesso. Qualcuno ha scritto che adesso che è scomparso non ne potremo fare a meno.

Ipocrisia, perché purtroppo da molto tempo ne avevamo fatto a meno, perché non stava più bene, specie dopo un grave incidente.

Ipocrisia perché molti, troppi, ne hanno fatto a meno anche quando stava bene e gli lesinavano sostegno e risorse, costringendolo a fare contemporaneamente da cameraman e da lettore del telegiornale, da montatore RVM e da operatore della messa in onda, da giornalista e da operatore delle riprese.

La vita di Vincenzo Angelico è stata una lunga poesia, scritta la sui e da lui stesso recitata. Ha inseguito quelli che si credevano protagonisti e lui lasciava loro credere che lo fossero, inconsapevoli come erano che il vero protagonista era lui, perché gli altri, quelli che si credevano protagonisti e ai quali egli lasciava credere che lo fossero, non erano che delle comparse – Elso Simone Serpentini