TERAMO – Era un pomeriggio, uno dei primi giorni di settembre del 1962. Avevo venti anni e facevo il cronista. Anche e soprattutto di pallone.
Il Teramo era ancora senza allenatore e la preparazione avveniva sotto la guida di un esperto di basket, il grande Tino Pellegrini, e in una amichevole disputata il 26 agosto al Comunale la nuova squadra era stata battuta dalla Sambenedettese 1-3. Andai nello spogliatoio e trovai Gustavo Bellini, il massimo dirigente della società, a colloquio con un anziano signore che parlava un musicale dialetto bolognese. Mi venne presentato e rimasi di sasso: era nientemeno che Amedeo Biavati, campione del mondo con la nazionale italiana nel 1938. Aveva allora 47 anni ed era ancora famoso per essere stato l’inventore del “passo doppio”.
Vittorio Pozzo, l’allenatore che aveva vinto due mondiali di calcio, aveva scritto: “Il pubblico ormai lo aspettava, ad ogni sua fuga sulla linea laterale. E lo aspettava anche l’avversario costretto a fronteggiarlo. Ma non c’era niente da fare. A tutta velocità Medeo eseguiva una specie di saltino per aria, sembrava che volesse passare la palla indietro di tacco. Il difensore rallentava un attimo, Biavati lo saltava toccando la palla col secondo piede e se ne andava”.
Che ci faceva Biavati a Teramo? Bellini mi disse che era in trattativa con lui per dargli il Teramo da allenare, dopo che Valeriano Ottino se ne era andato alla Pro Vercelli. Parlai con Biavati una mezzoretta, mi disse che sarebbe stato felice di allenare il Teramo. E io ne sarei stato felice. Mi disse che, dopo il ritiro, era stato calciatore-allenatore nel Magenta in Serie C nel campionato 1950-1951 e nella stagione successiva 1951-52 nell’Imola in Promozione, poi a Molfetta in IV Serie, a Città di Castello. Mi fece una buona impressione.
Non altrettanta ne fece a Bellini, che non lo ingaggiò. Non mi spiegò i motivi e non saprei dire se alla decisione di non affidargli la squadra lo portò il fatto che ritenne troppo alta la richiesta di ingaggio o se non lo convinsero motivazioni tecniche. Rimasi deluso che allenatore del Teramo non fosse diventato un campione mondiale e forse fu per questo che non mi piacque l’arrivo, due giorni prima dell’avvio del campionato di serie D 1962-63 un allora semi sconosciuto Domenico Rosati, detto “Tom”.
In seguito seppi che Biavati, angustiato da problemi economici, non allenò nessun’altra squadra, se non in un breve soggiorno in Libia, e poi, trovando pochissimo spazio nei quadri tecnici del Bologna, riuscì a campare come dipendente comunale con l’incarico di supervisore degli impianti sportivi.
Morì nel 1979 a 64 anni di età. Nel mio ricordo è sempre rimasto il campione del mondo che non divenne mai allenatore del Teramo. Parlando con Bellini, chi sa con quanta trepidazione aveva sperato di avere un ingaggio che lo avesse tratto dai guai economici che aveva. Non credo che chiese una grande cifra, e credo, al contrario, che si sarebbe accontentato di poco e che a dissuadere Bellini fu l’impressione che gli diede, – a lui non a me, ché per me era il campione del mondo leggendario che aveva inventato il “passo doppio” – che fosse un povero vecchio che sperava solo in uno stipendio. Ho poi considerato quell’incontro una lezione di vita, comprendendo che cosa può voler dire il passaggio dalla gloria ad un rifiuto, dall’altare alla polvere.
Per questo, pur non essendo stato mai allenatore del Teramo, ho voluto dedicare ad Amedo Biavati, “il poeta del doppio passo”, un mio medaglione.