I due termini stanno a significare, il primo “il tempo” inteso come “occasione, opportunità, circostanza”, il secondo è sempre “tempo” ma con un’altra valenza che è l’avvicendarsi delle ore, dei giorni: quindi il naturale trascorrere dei momenti, senza che essi abbiano una valenza qualitativa.

Nella situazione che stiamo attraversando, la sensazione è che questo confine in termini di significato, sia stato travalicato e si assiste ad una mescolanza per cui l’accezione del primo si snatura nel secondo.

Ne è la dimostrazione questa ricerca di individuare l’ora X che separa alcune regioni dalla fatidica data per cui tutto vada riaperto.

Allora riaprire senza aver messo “all’incasso” tutte le certezze di aver debellato- e per sempre- i contagi da covid-19, vuol dire non aver concluso una fase e forse aver pregiudicato le buone strategie che erano state compiute fino a quel momento. Non è Kairos in quanto non si può condividere una consapevolezza che un processo è dietro le nostre spalle e ci si butta verso un ansiogeno Kronos che corrisponde ad una serie di adempimenti frenetici alla ricerca di “recuperare il tempo perduto”.

Cosa vuole dire in sostanza? Che non si è “tesaurizzata” l’esperienza, non si è entrati nella constatazione se una epoca, quella della globalizzazione, poteva dirsi conclusa e ne stava per nascere una nuova, che avrebbe implicato le visioni necessarie per cui dare assetti ed impostazioni del tutto differenti.

Nessuna spiegazione in merito al dubbio se si era alla vigilia dell’ingresso verso una epoca nuova, al pari di quello spartiacque che delimitò l’Evo Antico rispetto alle navigazioni per esplorare terre nuove che dette l’inizio dell’Evo Moderno.

Sto caricando di eccessivo significato la smania della Lombardia di riaprire il 4 maggio? Forse mi si potrebbe tacciare di ciò se la regione smaniosa di ripristinare una partenza, dopo una forzosa sospensione, fosse una regione povera e periferica, non “la locomotiva d’Italia”.

La ricca Lombardia aveva sperimentato ormai da molto tempo che il “suo sistema di sviluppo” era in affanno e, se proseguiva in quella direzione, questo accadeva per non interrompere un flusso che derivava da una economia che “tirava” pure con le criticità dovute alle polvere sottili, allo smog, ad una frenesia dalla quale ci si sarebbe ritemprati, in massa, ai laghi oppure ai navigli, obbligatoriamente, nei fine settimana.

Le case di riposo tanto diffuse richiamavano la “cultura dello scarto” spesso evocata da Papa Francesco, cui si sarebbe potuto, almeno, affiancare un sistema domiciliare di assistenza medico-socio-psicologica, che avrebbe permesso all’anziano di continuare a risiedere nei suoi spazi, con i suoi elementi confortevoli, fatti di ricordi, ma anche di stimoli a tenere ancora la mente in esercizio.

Anche gli anziani, dunque, obbligati a trascorrere un tempo “kronos” che avrebbe immiserito in ciascuno di loro il senso dell’esistere e demotivato nella voglia di continuare una permanenza qualitativa (Kairos) di vita.

L’augurio è che tutte le commissioni che in questo periodo stanno “freneticamente” lavorando, non trascurino il principio della resilienza, secondo cui ha criticità, se ben analizzata, può permettere l’apertura di nuove opportunità.

di Ernesto Albanello