La chiave per custodire la biodiversità forestale italiana è nella conoscenza e nella conservazione dei boschi vetusti. Le foreste primarie e secolari sono ecosistemi ricchi di forme di vita rare e preziose, capaci di immagazzinare grandi quantità di carbonio, trattenendolo nel legno e nelle radici, contribuendo così alla lotta ai cambiamenti climatici: si deve consentire l’evoluzione naturale dei boschi verso ecosistemi forestali più complessi secondo il modello offerto dai boschi vetusti. Nella “Strategia dell’Unione Europea sulla biodiversità per il 2030” si riconosce il valore intrinseco delle foreste primarie e delle foreste vetuste fissando come primo obiettivo definire, mappare, monitorare e proteggere rigorosamente tutte le foreste primarie e vetuste ancora esistenti in Europa.

In Abruzzo contiamo oltre 380 mila ettari di foreste e una ricerca del 2015, pubblicata nel volume “Alberi, arbusti e liane d’Abruzzo” di Gianfranco Pirone (COGECSTRE Edizioni), individuava ben 34 foreste vetuste, punto di forza di un patrimonio forestale regionale che annovera 190 specie di alberi, arbusti e liane (di cui 51 a rischio di estinzione), 363 alberi monumentali, 65 tipi di foresta, 15 habitat forestali di interesse comunitario e protetti dalla Direttiva Habitat.

Tra le foreste vetuste, ne spiccano cinque ricomprese nel perimetro del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise che nel 2017 sono state inserite nel patrimonio Unesco “Foreste primordiali dei faggi dei Carpazi e di altre regioni d’Europa”: circa 1000 ettari caratterizzati da alberi maestosi, rare fioriture, funghi e muschi che colonizzano i tronchi caduti. Foreste di faggio dove l’uomo non interviene con tagli di alberi e recupero di legna a terra, dando così vita a un ecosistema simile a quello delle foreste primigenie: la faggeta di Val Cervara, 119 ettari nel territorio di Villavallelonga, la Selva Moricento, 193 ettari tra crinali montuosi e doline carsiche  nel territorio di Lecce nei Marsi, la Foresta Coppo del Morto 105 ettari tra Pescasseroli e Scanno, la foresta di Coppo del Principe, 194 ettari nella Difesa di Pescasseroli, e infine il sito più vasto costituito dalle due foreste di Cacciagrande e di Valle Jancino che insieme raggiungono i 325 ettari.

«Le foreste vetuste del Parco sono tra le faggete più antiche d’Europa – dichiara Filomena Ricci, delegato regionale del WWF Abruzzo. – Molti alberi hanno un’età eccezionale e il più antico, con i suoi 560 anni di vita, ben era qui prima di quando Cristoforo Colombo salpasse per l’America! Per l’Abruzzo si tratta del primo sito a essere riconosciuto dall’UNESCO e per l’Italia il primo a essere considerato per il suo valore ecologico. Proteggere un ecosistema complesso come quello delle foreste vetuste e garantirne la conservazione e la sopravvivenza per il futuro è una grande responsabilità per ognuno di noi. Si tratta di habitat fondamentali per la tutela di specie a rischio estinzione come l’Orso bruno marsicano, ma anche lupi o picchi, insetti come il coleottero Rosalia alpina e rari anfibi come l’endemica Salamandrina dagli occhiali, per non parlare di funghi o fiori».

Le foreste poi rappresentano un alleato importante nella lotta ai cambiamenti climatici grazie alla capacità di assorbire anidride carbonica.

«Prendersi cura delle foreste, vuol dire prendersi cura anche di noi» ricorda Sefora Inzaghi, direttrice dell’Oasi WWF delle Gole del Sagittario che ospita diverse tipologie di bosco, da quello misto di fondovalle alle faggete: «Un ettaro di superficie forestale assorbe in media 22 ton di CO2 l’anno: quindi gli oltre 380 mila ettari di territorio abruzzese ricoperto da foreste si traducono in 8 milioni di tonnellate/anno di CO2 assorbita. A questo si aggiunge anche il ruolo strategico di “custodi della biodiversità” poiché è in questi ecosistemi che molte specie vegetali e animali trovano nutrimento, riparo e rifugio sicuro per riprodursi. Se da una parte nel nostro immaginario i boschi sono luoghi incontaminati di ispirazione poetica o angoli di cui godere per un momentaneo benessere, dall’altra sono invece sistemi complessi, fragili e preziosi per il sostentamento di tutte le forme di vita».

Approfondimenti 

FORESTE PRIMARIE E FORESTE VETUSTE

Le foreste primarie sono di origine antica, estranee alle pratiche agricole e principalmente collocate in ambiente montano, su terreni non produttivi. Anche se condizionate dall’attività umana, si sono potute sviluppare secondo processi rigenerativi naturali.

Le foreste vetuste sono quelle in cui da un lungo periodo di tempo i processi dinamici in atto non sono stati influenzati dall’uomo, compreso il prelievo del legno vivo o morto. I boschi vetusti sono molto rari in Italia e di estensioni molto limitate. La loro salvaguardia è considerata indispensabile.

LEGNO MORTO, FORESTA VIVA

L’abbondante presenza di legno morto nella foresta è un elemento che caratterizza il bosco vetusto. Il suo quantitativo viene misurato allo scopo di determinarne il grado di naturalità. Ad esempio, nella faggeta vetusta di Val Cervara, nel Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, il volume di legno morto ammonta al 30% di tutta la massa legnosa. L’importanza del legno morto risiede nel suo divenire un luogo di vita per centinaia di specie animali e vegetali. Dai funghi saproxilici, che contribuiscono al processo di decomposizione del legno, ai coleotteri le cui larve si cibano di legno morto, a specie di piante vascolari che se ne avvantaggiano per la germinazione, agli uccelli che ne sfruttano le cavità per deporre le uova.

LA CAMPAGNA RENATURE del WWF

Con la campagna ReNature – Rigeneriamo l’Italia (https://www.wwf.it/renature_italy/) il WWF si pone l’obiettivo di restaurare e “riconnettere” almeno il 15% di territorio italiano, concentrandosi sugli ecosistemi con un elevato potenziale di stoccaggio del carbonio (foreste per il clima) e su quelli che contribuiscono alla mitigazione delle inondazioni e alla prevenzione degli incendi e del dissesto idrogeologico, come foreste, zone umide, fiumi e aree costiere. Un esempio è il progetto “L’ultima foresta incantata” avviato all’interno della Riserva Naturale e Oasi WWF di Policoro (MT) assieme alla Regione, all’Università della Basilicata e a Fondazione Con il Sud: per ridare vita al bosco pantano e far tornare la foresta costiera di Policoro ai suoi antichi splendori si attueranno interventi di rinaturalizzazione e di creazione di piccoli invasi per restituire all’habitat del bosco allagato l’acqua sottratta dall’uomo negli ultimi 30 anni.