TERAMO – Riceviamo e pubblichiamo una bella nota di Daniela Musini – scrittrice, attrice e pianista – su Vincenzo Pelliccione, emigrato abruzzese che partito dalla Marsica divenne famoso negli States come sosia e controfigura di Charlie Chaplin.
#Coriandoli
FU COSÌ CHE UN ABRUZZESE CON LA VALIGIA DI CARTONE DIVENNE “CHAPLIN DELL’ITALÌ”
di Daniela Musini
Era nato a Rosciolo dei Marsi, un borgo di Magliano dei Marsi in provincia de L’Aquila, il 21 giugno 1893 da Sebastiano e Carolina Marini, ma in quella piccola frazione abruzzese lui, pur amandola, non ci voleva stare, perché esuberante e fantasioso com’era, sognava di lavorare nel varietà. I suoi genitori e i suoi cinque fratelli (Nicola, Giovannino, Benedetto, Pasquale e Maria), mentre si recavano nei campi a lavorare duro, scuotevano la testa sorridendo di fronte a queste sue fantasie fumiste e un po’ megalomani, ma Vincenzo Pelliccione era testardo come tutti gli Abruzzesi e deciso a perseguire i suoi sogni.
E così in quel 1915 funestato dalla Grande Guerra, Vincenzosalutò i genitori, i familiari e i compaesani e s’imbarcò per l’America al grido di «Voglio diventare famoso»: dalla sua aveva la giovane età (22 anni), un bell’aspetto, una valigia legata con lo spago, una buona dose di ottimismo e uno straordinario talento nelle imitazioni. Approdò in Pennsylvania e si impiegò nei lavori più umili: «Guadagnavo due dollari al giorno: uno lo spendevo per mangiare, l’altro per le lezioni di inglese», ricorderà in seguito. Lavorava senza tregua, con tenacia e determinazione per inseguire il suo sogno: approdare a Los Angeles. Ci riuscirà quattordici anni dopo, nel 1929, dopo aver vissuto per un breve periodo anche in Ohio.
A Los Angeles, appena poteva, si recava ad Hollywood, la Mecca del Cinema, a guardare da vicino i suoi idoli: Buster Keaton, Gloria Swanson e sopratutto lui, Charlie Chaplin, l’amatissimo Charlot, di cui aveva visto e rivisto tutti i film ed imitato tutte le movenze. Con bombetta, bastone di bambù e la classica andatura a paperottolo, Pelliccione faceva ridere tutti i suoi compagni di lavoro e tutti gli dicevano che era identico…ma proprio identico! Ed era vero. Vincenzo, quando si metteva i baffetti finti e indossava gli abiti lisi e troppo larghi di Charlot, diventava proprio il suo sosia. E questo fu la sua fortuna. Iniziò a fare spettacolini in piccoli locali di Los Angeles con lo pseudonimo di Eugene De Verdi, collaborando nel contempo in teatro con MaeWest e al cinema con Buster Keaton, fino a che arriva la svolta inaspettata e fortunosa.
Una sera che come sempre stava imitando Charlot capitò tra il pubblico un noto, stravagante e intraprendente impresario americano, Sid Grauman, il quale sulla celebre Walk of Fame (la passeggiata della celebrità) aveva il suo Grauman’s ChineseTheatre dalla caratteristica forma a pagoda, proprio quello davanti al quale ci sono i blocchi di cemento su cui le stars di Hollywood hanno lasciato le proprie impronte di mani e piedi. Ebbene Grauman, impressionato dalla somiglianza e dalla capacità imitativa di Pelliccione/De Verdi, lo presentò al suo grande amico Charlie Chaplin.
Il sogno del giovane emigrante abruzzese si era avverato: viene scritturato come controfigura di Charlot in alcune scene di “Luci della città” e di “Tempi moderni”, lo sostituisce nelle prove de “Il Circo”, “Il Dittatore” e appare come suo sosia negli eventi pubblicitari e durante i tour in Florida o in California: «Io, povero abruzzese emigrato in cerca di fortuna, diventavo Chaplin. La gente mi fermava per strada, mi applaudiva quando facevo il numero con la bombetta e i pantaloni a fisarmonica. Riuscivo a imitarlo in modo ineccepibile, nessuno sarebbe stato in grado di distinguere la copia dall’originale», ripeteva nelle interviste.
Una volta che per strategia di marketing se ne andò in giro per Los Angeles vestito da Charlot, la gente, convinta di trovarsi veramente davanti al vero Chaplin, formò una ressa tale e si creò un ingorgo così caotico con macchine e taxi, che il povero Pelliccione dovette rifugiarsi in un Teatro. E un’altra volta Grauman allestì nell’atrio del suo teatro un piccolo museo delle cere in cui figuravano personaggi famosi di allora, tra i quali Fred Astaire e Jean Harlow. Non avendo fatto in tempo a far forgiare la statua di cera del mitico Charlot, l’impresario pregò Vincenzo di fingere di essere la sua statua, restando completamente immobile con tanto di bombetta sul capo e solito il bastoncino in mano.
Ben 300 persone sfilarono davanti a lui, senza accorgersi che quella non era una statua, ma Vincenzo Pelliccione, alias Eugene De Versi in persona, fino a quando lui, inevitabilmente, si mosse, seminando il panico tra i presenti. La collaborazione con Charlie Chaplin durò fino al 1940 e terminò con l’uscita del film “Il grande dittatore”, film-parodia sul Nazismo. Vincenzo Pelliccione smise i panni di Charlot, ma non lasciò quel mondo dorato e amato di Hollywood. Si riciclò come tecnico delle luci e esperto di effetti speciali, inventando diverse macchine per i set e collaborando a kolossal come “Ventimila leghe sotto i mari” (che vinse il premio Oscar proprio per gli effetti speciali nel 1955), “Ben Hur” e “Cleopatra” e dando un notevole apporto a film rimasti memorabili, fra cui “Il figlio dello Sceicco” con Rodolfo Valentino.
Riuscì a conoscere e a collaborare con le sue dive preferite: Marilyn Monroe, Liz Taylor e Anna Magnani durante la lavorazione del film “La Rosa Tatuata” (per il quale l’attrice italiana vinse l’Oscar e il Golden Globe come miglior attrice). Nel 1968 tornò definitivamente in Italia e collaborò a lungo con il produttore Dino De Laurentiis, sempre come esperto di effetti speciali e a Roma girava con un cocker nero ammaestrato che gli portava il giornale quando faceva colazione al bar. Morì il 20 giugno 1978, a 84 anni, sei mesi dopo la scomparsa di Charlie Chaplin, il suo idolo, il suo mentore. Le sue spoglie riposano nel cimitero del suo paese d’origine, nella Marsica.