Il brano del vangelo che la Chiesa cattolica invita a leggere oggi, domenica 20 novembre, ci sollecita una riflessione. La figura di Gesù in croce rappresenta per ogni cristiano il simbolo d’amore per eccellenza, l’incarnazione della propria missione di fede e di vita. Ma come può un’immagine così terribile esprimere un messaggio così prezioso? Non è facile spiegare questa contraddizione, poiché essa appartiene alla chiesa fin dalle sue origini. Può sembrare un paradosso che i cristiani abbiano fatto della croce, lo strumento utilizzato per uccidere Gesù, il Salvatore, inviato nel mondo da Dio Padre, il loro simbolo principale. Ancora più sorprendente come, al di là della simbologia potente della croce vuota, la figura di Cristo in croce, la raffigurazione più o meno realistica di Gesù crocifisso, sia diventata nei secoli un ancor più potente emblema di fede. È di un uomo torturato, che stiamo parlando, un uomo picchiato, spogliato di ogni dignità, deriso da coloro i quali era venuto a salvare, e infine ucciso in un modo barbaro, orribile. Eppure chi crede in Lui, non può fare a meno di guardare alla raffigurazione della Sua agonia senza provare un impeto d’amore. Perché è esattamente questo che la figura di Gesù in croce simboleggia: un misericordioso, gratuito, immenso atto d’amore. È nella figura straziata di Gesù sulla croce che si compie il destino dell’umanità, nel rinnovarsi di quell’Alleanza con Dio vanificata dalla disobbedienza di Adamo ed Eva. Il sangue di Gesù, le sue lacrime, mondano l’uomo da ogni colpa, aprendo la strada per la salvezza.

Il  brano del vangelo di Luca che viene letto nella odierna messa è, secondo me, uno dei brani più belli e significativi di tutti i vangeli. I tanti vangeli.  “In quel tempo, dopo che ebbero crocifisso Gesù, il popolo stava a vedere;  e lo deridevano . Popolino, soldati, anche uno dei malfattori in croce come lui lo derideva”. I membri del Sinedrio, che avevano consegnato Gesù a Pilato e ai soldati che dovevano crocifiggerlo, pensavano di essersi liberati di lui, un uomo pio, certo, ma pericoloso . Ora, essi sono ai piedi della croce e lo scherniscono chiamandolo Messia, eletto di Dio, re. Ma Gesù, proprio in quanto Messia nel compimento del piano eterno di salvezza, ingaggia sulla croce una sfida con la morte per salvare l’uomo. Come ho scritto più volte, Gusù poteva non andare a Gerusalemme, poteva non andare nell’orto, poteva non farsi portare da Ponzio Pilato. Gesù poteva scendere dalla croce e salvarsi; ma non l’ha fatto, perché altrimenti non ci avrebbe salvato. Non avrebbe salvato quel popolo che rideva. E questo secondo me è uno dei segni più belli del cristianesimo.

Ed ecco che raccoglie i frutti della sua passione: uno dei due ladroni crocifissi ai suoi fianchi confessa i propri peccati ed esorta l’altro a fare lo stesso, ma, soprattutto, professa la sua fede. Il Re crocifisso apre le porte del paradiso anche ai più grandi peccatori, purché si convertano, sia pure nel momento della loro morte. Del resto, noi ben conosciamo molte conversioni simili. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». Oggi 20 novembre dunque celebriamo la Passione e morte di Gesù. Ma anche la speranza. Quante volte nella sofferenza oscilliamo tra disperazione e speranza? Talvolta chiediamo il miracolo e se non l’otteniamo la nostra fede in Gesù comincia a vacillare. Forse non è il Cristo? Forse Dio non esiste? L’altro atteggiamento è quello di affidarsi completamente a lui, “ricordati di me”. Affidamento totale perché sappiamo che Lui è sempre con noi, ce l’ha detto più volte, espresso anche in Matteo 28,20b “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. Questa certezza ci dà una profonda pace interiore perché sappiamo che dal suo regno il Signore ci sostiene sempre, anche nei momenti più difficili, ovviamente ci sostiene senza toglierci la sofferenza come non ha liberato dalla croce nessuno dei due malfattori. Ce l’ha ricordato anche Papa Francesco all’Udienza generale del 16 giugno 2022: Lui “non ci salva da una malattia o da un momento di sconforto, ma ci offre la salvezza totale, quella che fa sperare nella vittoria definitiva della vita sulla morte…. Anche nella più dolorosa delle nostre sofferenze, non siamo mai soli “ Ci offre il Paradiso. Come al malfattore. E mi sembra un bellissimo progetto di speranza.