In Brasile il covid arretra: ieri solo 4238 morti . Diciamo grazie a mister Bolsonaro. Mister president che nega l’utilità di vaccini, mascherine e lockdown. Ma è anche frutto della miseria di uno dei paesi più ricchi del mondo. Tutto ciò mentre si moltiplicano le fosse comuni in tutto il Paese. Quello che si sta facendo è solo trattare i casi di ricovero, ma senza uno scenario possibile. Perché in Brasile il distanziamento sociale nelle favelas è impossibile. La popolazione povera che vive nelle favelas e nei quartieri periferici delle grandi metropoli, in maggioranza nera, si presenta come la principale vittima dell’emergenza sanitaria Covid-19. Le linee di autobus che collegavano l’area metropolitana con la città di Rio de Janeiro sono state interrotte, impedendo ai lavoratori delle periferie di raggiungere i quartieri centrali dove lavoravano. Il sadismo di dover scegliere tra essere infetti o morire di fame non può essere normalizzato. Così il Brasile delle sterminate favelas, del sistema sanitario inadeguato e della mancanza di coordinamento tra governo federale, governi statali e municipi, è diventato il primo Paese con più contagi al mondo dopo gli Usa. Il turismo fermo, i cordoni di polizia armata che spara su chi cerca di uscire, la perdita di oltre 23 milioni di posti di lavoro, aprono lo scenario attuale di una forte svalutazione e l’inflazione alle porte. 50 milioni i lavoratori informali che si sono ritrovati da un giorno all’altro senza nulla. Si tratta di famiglie senza risparmi e piene di debiti; in Brasile ci sono oggi 63 milioni di iscritti nella lista dei debitori morosi, che non possono chiedere un prestito se non a tassi da usurai del 400% all’anno Un esercito di nuovi poveri e indigenti difficilmente riuscirà a essere assorbito dai piani di assistenza sociale; nelle periferie urbane e nelle zone rurali del Nord-Est si teme possa tornare quella fame endemica sconfitta con molta difficoltà dal 2002 a oggi.
Mentre Bolsonaro prepara il colpo di stato una scia di morte di cui si fatica a vedere la fine. 4858 morti in un singolo giorno, finora il bilancio più cupo mai toccato nel Paese in 24 ore, arrivato al culmine di settimane segnate da record di perdite umane che si susseguono senza sosta da fine febbraio. 5000 morti in un giorno sono veramente tanti, troppi da sopportare. Il numero esorbitante di decessi si accompagna a un altrettanto impressionante numero di contagi giornalieri (90.000 in 24 ore, il 6 aprile) ed è il risultato dell’impatto della variante brasiliana, nonché delle inefficaci e inconsistenti misure di mitigazione adottate dal governo locale – il cui leader, Jair Bolsonaro, è apertamente schierato contro il lockdown e l’obbligo di indossare le mascherine. Intanto, la campagna vaccinale nel Paese procede a rilento a causa dell’esiguo numero di dosi cinesi disponibili.
E mentre il sistema sanitario è da tempo ben oltre il punto di rottura, con il 100% dei posti nelle terapie intensive occupati da pazienti covid, gli esperti prevedono altri mesi difficili per il Brasile, che ha finora perso, a causa della pandemia, 537.000 cittadini.
Quasi 6 milioni di persone vivono nelle 50 favelas di Rio de Janeiro, il 50% della popolazione della Cidade Maravilhosa. Come convincere gli abitanti delle favelas che è importante rimanere a casa e lavarsi le mani, se la densità di popolazione è la più alta dello Stato e sussistono problemi con l’acqua potabile da decenni? Basterà lo striscione messo sul ponte d’imbocco alla Rocinha, la favela più grande del mondo ? I servizi igienico-sanitari e la salute sono diritti fondamentali, anche se, in Brasile, persino lavarsi le mani è diventato un privilegio di classe e di razza. Questa pandemia, che ha messo in quarantena la popolazione del pianeta, ci ha mostrato che sono pochi quelli che possono permettersi di rimanere a casa. In Brasile, il virus ha aumentato la pressione sulle giunture di una società di per sé già fortemente ineguale e nella quale le vestigia della schiavitù sono ancora molto presenti. La popolazione povera che vive nelle favelas si presenta come la principale vittima dell’emergenza sanitaria Covid-19. Le lavoratrici senza contratti formali, che rappresentano quasi la metà della popolazione attiva del paese, soffriranno in maniera sproporzionata le conseguenze del rallentamento economico. Pertanto, le opzioni per le abitanti della periferia si sono ridotte a esporsi al contagio o a non avere nulla da mettere sotto i denti. Il sadismo di dover scegliere tra essere infetti o morire di fame non può essere normalizzato. In questi giorni, riecheggiano nel mondo affermazioni nelle quali si afferma, ripetutamente, che la pandemia colpisce tutte le persone allo stesso modo, indipendentemente dalla loro classe, genere o razza di appartenenza. Non è necessario argomentare la falsità di tale affermazione o spiegare perché le persone più vulnerabili saranno, ancora una volta, le più colpite. Il razzismo strutturale condiziona l’accesso all’istruzione per la popolazione nera, e un’istruzione scadente genera limitazioni in ambito lavorativo e abitativo; carenze che condizionano il benessere, la salute e l’alimentazione. Il razzismo si manifesta in molti modi. Il razzismo ambientale, particolarmente rilevante in questo frangente, sottopone le persone a una contaminazione eccessiva e le esclude da beni e servizi ambientali come acqua e aria pulite. Vivere in comunità etnicamente separate aumenta la vulnerabilità al virus. Il razzismo ambientale rafforza la possibilità di contrarre malattie aumentando così il tasso di mortalità di questa parte di popolazione nei confronti del virus. Ma va bene così. Basta ripetere che siamo tutti fratelli.
Leo Nodari