Totti ci ha fatto vedere cosa significa avere un sogno, coltivarlo giorno per giorno e poi essere costretto, da qualcosa che sfugge al controllo di chiunque, a fare un passo in avanti per entrare in un’altra dimensione. Il re de Roma ci ha fatto vedere che le ferite che lascia un sogno devono essere sempre mostrate con grande orgoglio.
Roma lo ama di un amore incondizionato, soffocante. Totti è un imperatore, c’è chi è disposto a restare in carcere dieci giorni in più pur di incontrarlo. Non c’è un altro giocatore come Totti in Italia. Solo Maradona è paragonabile . Totti è un pò come Romolo o Remo e la Lupa, il cannone al Gianicolo o la fessura della Bocca della verità. Totti è come il Colosseo o i mercati traianei. Per ogni tifoso della magggicaaaa c’è un prima e c’è un dopo. Totti è una cosa che, nonostante tutto, il mondo andrà avanti lo stesso ma non è più lo stesso. Totti è quella sensazione di malinconia e profonda tristezza che il tempo cancellerà, lasciando però quel ricordo triste che racconterai alle generazioni future: “Ho avuto la fortuna di aver visto giocare un grande calciatore…Francesco Totti“.
Totti è troppo grande. Totti va oltre il calcio. Oltre le piccole beghe con Spalletti. Oltre la curva sud. Francesco Totti e’ la meglio gioventù nella sua amata Roma, quella calcistica. Una vita in giallorosso da quando era alla Lodigiani – storico club romano che aveva sede a San Basilio – 786 partite, 307 gol e 25 stagioni, tutte in maglia giallorossa. Grandi numeri rispetto ad un palmares non certo tra i migliori, con 1 scudetto, 2 coppe Italia e 2 supercoppe italiane. Avrebbe potuto essere tra i migliori se avesse accettato la corte e 1 10 miliardi del contratto del Real Madrid. Troppo poco, o forse troppo forte è stato, al contrario, l’amore per la sua Roma: “Il fatto di esserne diventato la bandiera è l’orgoglio più grande che provo”.
Anche se il 28 maggio del 2017 ha giocato la sua ultima partita con la maglia della Roma, questi 4 anni non hanno cancellato quell’addio al calcio dalle forti emozioni, quello stadio stracolmo e poi impietrito: nessuno si è allontanato dal ‘Capitano. Poi c’è da aggiungere che lo sport è crudele. Non si fa raccontare. Ripudia la finzione. “Speravo de morì prima”, è un coraggioso tentativo di restituire il pathos dell’apice e soprattutto dell’addio al calcio del “capitano”, dopo anni d’amore incontaminato e vagamente incompiuto. Coraggioso, il tentativo, ma sconfinato nel didascalico. Non c’è fiction che possa riprodurre la verità sudata ed emozionata di uno sport o di una sua stella. E non è trascorso ancora abbastanza tempo dal Totti autentico, non c’è ancora abbastanza margine tra Totti e il “coraggioso” Pietro Castellitto per fare a meno dello sguardo originale di Checco. Il cinema è evocazione, non imitazione. Hanno provato “A partire dalle parole del Capitano” dice Castellitto . Ma hanno perso la sfida . Non è colpa di nessuno. Il volto del vero “Checco” qui non c’è. Come la sua voce. Sono ancora ovunque, là fuori, nelle pubblicità, nei pensieri, per strada, in rete, nell’anima dei tifosi. Ma non nel film.
Il racconto ruota attorno alla sua esistenza agonistica e privata, con una particolare attenzione agli ultimi giorni, un momento tremendo che nessun atleta vorrebbe vivere e di cui egli sa pochissimo, prima che avvenga, un momento che per sua natura sfugge come un pallone bagnato sotto la pioggia. Chi gioca è il campione, chi smette è l’uomo. Quel che sappiamo è che Totti ha febbrilmente vissuto, da atleta e da uomo, un tramonto sbilenco, inquinato nei colori e nei toni dalla pessima relazione con l’ultimo Spalletti, un lungo addio avvelenato da mille malinconie e tormentato dai dubbi. tra spogliatoi bollenti e litigate epocali, minuti contati, interviste incrociate, ingenuità ed invidia. Un altro avrebbe lasciato a 35 anni, in piena luce. Totti no. Ha voluto raschiare il fondo del barile, “colpevole” di immaginarsi eternamente giovane. Speravano (speravamo) tutti di non assistere a quel passo finale reso amaro da rapporti sbagliati, interni alla Roma, tra le radio, tra chi pensava che Totti fosse diventato il piombo che affossava la squadra e chi invece non riusciva a dimenticarne la grandezza, presente e passata. Tutti, chi più chi meno, auspicavamo di non dovere oltrepassare quel limite: non vederlo più in campo. Ma dov’era quel limite?
Manca l’odore della sofferenza e della felicità, manca l’illuminazione del più grande talento del calcio italiano, dell’uomo che ha lottato contro i suoi infortuni, senza paura, del “semplice a vita” che rinuncia al Real Madrid e alla cioccolata. Manca l’affaticamento, la speranza nel suo gol, il suo sorriso, l’adrenalina, la nostra emotività, la nostra fantasia e i nostri ricordi, il Totti carne ossa legamenti e lacrime che abbandona il calcio dentro uno stadio che piange all’unisono, il Totti che ha lasciato sul campo e nel cuore un vuoto spaventoso, all’interno del quale per anni e anni rimbomberanno i suoi capolavori, sono un’altra cosa. La fiction è un’esibizione, il calcio di Totti è visceralità. Non si potevano incontrare. Infatti c’è un altro al posto suo. Totti è il capitano. L’unico capitano. Per sempre. E per sempre gli dirà “Graziè de tutto Francè! “