1993: l’inchiesta va avanti come un treno: Silvano Larini, l’architetto amico di Craxi, l’uomo delle notti al Giamaica di Brera, confessa di avere un” conto protezione”, numero 633369 sull’Ubs di Lugano, con 4 milioni di dollari. Soldi versati per conto di Craxi. Il picaresco architetto Giovanni Manzi – presidente della società aeroportuale – rientra dalla latitanza  a Santo Domingo e confessa di essere stato lui “il collettore” di Craxi.

Gli arresti continuavano. E iniziarono i suicidi. Il primo a suicidarsi fu Renato Amorese, segretario socialista di Lodi. E dopo pochi giorni Sergio Moroni, deputato socialista, “dopo un processo sommario e violento che mi ha scaraventato nel calderone dei ladri”. Poi si uccisero Gabriele Cagliari e Raul Gardini. Uno studio di Nando Dalla Chiesa (figlio del generale e fondatore de “La Rete” con Leoluca Orlando) dice che furono 43 le vittime per cui è accertata una morte cagionata da mani pulite” .Oggi, molti anni dopo, è doveroso riflettere su questo dato. Non fu possibile farlo allora perché l’Italia festeggiava, come liberata dall’invasore, l’azione dei pm che annunciavano di dovere “rovesciare il Paese come un calzino”. Non ci fu modo e tempo per capire che c’era chi, abbandonato in un cono d’ombra con le proprie paure e i propri rimorsi, decideva di non poter sopravvivere in questo mondo sottosopra. Le luci della ribalta abbagliarono i giuristi. E non solo. La sensazione di uno smottamento complessivo era tangibile. A dicembre del ’93, un anno dopo il primo avviso di garanzia a Craxi e un anno prima dell’addio di Di Pietro alla toga, i partiti tradizionali affogavano, Achille Occhetto pensava di avere tra le mani una “gioiosa macchina da guerra”, sui muri delle grandi città erano apparsi manifesti misteriosi con uno slogan: “Forza Italia”.

Intanto in quei giorni del ’93  gli italiani guardarono in diretta tv il disfacimento dell’Italia sino ad allora conosciuta. Le udienze del processo “Mani pulite” furono trasmesse dalla Rai in una infinita soap opera che registrò ascolti clamorosi. C’è un tifo da strada tra Cusani, l’avvocato Giuliano Spazzali, un passato in Soccorso Rosso, vero antagonista della cultura del pentimento catartico sottesa a Mani pulite e i magistrati. Decidendo di processarlo da solo, Di Pietro volle trascinare alla sbarra in qualità di testimoni, e dunque con l’obbligo di rispondere e dire il vero, i principali leader dei partiti che finora erano sempre sfuggiti a un confronto diretto con lui grazie alle guarentigie parlamentari. Processualmente, zero. Mediaticamente, un cataclisma. Ne sortirono udienze memorabili. I milanesi facevano la fila nei corridoi del tribunale per trovare posto in aula. Tutti, tranne l’orgoglioso Craxi, uscirono con le ossa rotte. Il penoso farfugliamento di Arnaldo Forlani, incapace di controllare la propria salivazione davanti alle telecamere, resta forse l’immagine più imbarazzante di quel cambio di stagione. Nasce “il dipietrese”, frasi come “che c’azzecca?”, entrano nel lessico popolare.

Che il Cavaliere fosse ormai nel mirino era un segreto di Pulcinella. Fino all’invito a comparire che i pm di Milano mandarono a Berlusconi mentre presiedeva a Napoli una conferenza mondiale sulla criminalità. Una storia molte volte raccontata. Fece bene la Procura a mandare quell’atto al presidente del Consiglio mentre era impegnato su un palcoscenico mondiale? Penso di no. Il resto non credo sia così importante in un Paese che trent’anni dopo ancora non ha riportato il proprio tasso di corruzione a livelli fisiologici. Mani pulite non ci ha salvato, forse perché dovevamo salvarci da soli. Dovremo farlo, prima o poi: per non restare ingabbiati altri anni in un déjà vu collettivo peggiore di qualsiasi galera.

La cavalcata della Mani pulite 1992-1995 non ha scongiurato che nei tre successivi decenni tangenti e finanziamenti illeciti abbiano continuato a essere declinati nella più fantasiosa casistica. Siamo passati da mani pulite a mani sbiadite. Dagli avvisi di garanzia che bastavano a far dimettere un ministro si è così via via scivolati alla normalità del fatto che , pregiudicati che nemmeno potrebbero essere ammessi al concorso per guidare un tram, siedano invece in Parlamento.

Troppo estesa la corruzione fatta intuire già dalle prime indagini, lo strumento giudiziario non poteva affrontarla senza una nuova coscienza, e la società, sovraccarica di aspettative enfatizzate ma senza sbocchi di rigenerazione, ne uscì sfibrata. Al punto da far davvero somigliare Mani pulite alla protagonista, mezzo secolo prima, di un racconto di Joseph Roth: “Nessuno aveva desiderato che restasse in vita e perciò era morta”.

Tangentopoli fu un terremoto che condusse in un tunnel così lungo da sembrare infinito. S sbucò in uno stadio rumoroso  con gli spalti che precipitarono in un abisso, e poi sull’ottovolante e, alla fine di tutto, il Luna- park chiamato Italia si ritrovò cambiato. E non si sa mai dire come, e fino a quando. Anzi, può legittimamente essere ricordata una celebre frase di Tancredi, il nipote del principe di Salina: Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. E, ovviamente, proseguendo in quel libro, “noi fummo i Gattopardi, i Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della terra”.