Fa caldo, la cantina è un luogo davvero refrigerante: qui avverto la freschezza necessaria per avere la mente lucida.
Il clima è poi davvero quello che necessita per fare riflessioni e considerazioni, dopo (come qualcuno si è premurato di ricordare) un anno ed una settimana dall’insediamento della nuova amministrazione comunale.
Guardo il calice e sorseggio un vino bianco davvero amabile, come si conviene quando la calura non lascia tregua: senza drammatizzare troppo però! In fondo il mese scorso pareva inverno!
La mente spazia e, come una farfalla che volteggia di fiore in fiore, dove si deposita?
Sui call center che quando esordiscono, hanno cura di interloquire con una frase di rito pressappoco concepita nel modo seguente: “Buongiorno! In cosa posso esserle utile?” oppure “C’è qualcosa che posso fare per lei?”
Cosa propongono come approccio, le grandi organizzazioni commerciali che si affidano alla telefonia? Utilizzano, semplicemente, una formula che predispone, che rende agevole il colloquio, che suscita un flusso mentale accogliente ed ospitante, mai respingente.
Quello che funziona per il consumatore, non corrisponde, evidentemente, a quanto auspicato dal cittadino elettore?
Del resto cosa cerca il cittadino? Chiede di essere ascoltato, di sentire che quello che comunica, quando si reca in un luogo istituzionale, sia degno di considerazione e di apprezzamento.
Cosa riceve al contrario? Frettolosità, risposte sbrigative e mai esaustive, anche perché il più delle volte, non c’è stato tempo perché “il richiedente” formulasse per intero, la ragione del suo essersi spostato fino a lì.
La cultura del dialogo viene interpretata come un lusso che non possiamo permetterci, perché il tempo, si sa, è tiranno ed allora accade che l’amministrazione, questa come la precedente, beninteso!, perde di vista che sta ingrossando le fila degli scontenti che non hanno ricevuto quel rispetto e quell’accoglienza che sentivano fosse loro diritto ricevere.
Per carità, può anche accadere che il “questuante” formuli male quello che chiede e se lo fa “ a regola d’arte”, poi non si renda conto della sua petulanza.
Sta all’amministrazione, però, dare indicazioni di correttezza e sviluppare una cultura del dialogo che si basi su dei “sì” e dei “no”: si tratta di saper fornire queste dichiarazioni che siano, mai respingenti, mai difensive, sempre argomentative.
Per questo ho mirato in alto, “scomodando” la parola “empatia”, che viene spesso pronunciata a sproposito, perché la gran parte di chi la impiega, neppure si rende conto di quanto sia difficile stabilizzarla nel “modus vivendi” e renderla, poi, prassi continua.
Basterebbe, come per incanto, che “assumere un comportamento empatico” diventasse una “forma mentis” capace di “contaminare” positivamente gli ospedali, come le agenzie delle entrate, come i tribunali, come le scuole, come le forze dell’ordine, come appunto gli assessorati nei diversi enti periferici, per accorgersi che all’improvviso prenderebbe “forma e sostanza” un meccanismo virtuoso fatto di ascolto, fatto di restituzione di quanto ascoltato chiedendo conferma se tutto è stato compreso a puntino.
Basterebbe che, quando occorre, si apprezzasse e fosse valorizzato il quesito che viene posto, al punto che l’amministratore ravvisasse che, se in esso c’è anche la segnalazione di una sua lacuna, questa venga interpretata come una occasione per migliorare! Che poi è la quintessenza della democrazia partecipata!
Teramo necessita di questa svolta coraggiosa, a un anno ed una settimana dall’insediamento dell’attuale amministrazione, se vuole dare di sé una immagine positiva per davvero, in aderenza a quella discontinuità che rappresentò il proclama dell’allora candidato sindaco, poi divenuto primo cittadino.
Sembra a portata di mano un comportamento empatico , ma così non è! Può prosperare se l’amministrazione è una “casa di vetro” per davvero e può attecchire se la cultura dell’ascolto, della immedesimazione nell’altro, se la sintonia con le argomentazioni di chi trova motivante entrare ad approfondire tematiche che, di tanto in tanto, trascendono il proprio particolare, costituiscono le basi del vivere civile.
Teramo ha bisogno di questa modifica del modo di relazionarsi al suo interno, al pari dell’aria che respira! Riuscendo a mettersi dietro le spalle, una volte e per tutte, la “forma mentis” del proprio orticello da zappettare e la noncuranza verso tutto il resto se poi dovesse andare in malora!
Perché questo entri nel vivo delle coscienze, un Assessorato all’Empatia, adeguatamente equipaggiato, potrebbe essere uno strumento trasversale e virtuosamente contaminante da “mettere in pista” !
di Ernesto Albanello
Ernesto Albanello