La sera del 15 settembre 1993, Don Pino compiva cinquantasei anni. Nato a Palermo, nel quartiere Brancaccio, poco prima di essere ucciso con un colpo di pistola alla nuca mentre tornava a casa, sorrise al suo killer, dopo aver detto me l’aspettavo. A gennaio 1993 aveva inaugurato il centro “Padre Nostro”, diventato punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. Il sacerdote dava fastidio con il suo apostolato, l’azione contro i trafficanti di droga e le omelie di condanna a Cosa Nostra. Don Pino Puglisi era divenuto il volto del cambiamento all’interno della città di Palermo nel quartiere di Brancaccio uno dei quartieri più colpiti dalla povertà e dall’ignoranza. In seguito al suo assassinio, venne riconosciuto tutto il suo impegno messo per la comunità di Brancaccio e di Palermo, e Il 15 settembre 1999 l’allora arcivescovo del capoluogo siciliano, il cardinale Salvatore De Giorgi, aprì ufficialmente la causa di beatificazione proclamandolo Servo di Dio. Il 23 Maggio del 2013 don Pino Puglisi venne proclamato beato. A 29 anni dal vile omicidio, la Palermo degli onesti ricorda il sacrificio di un uomo volenteroso che ha dedicato la sua vita ad insegnare e accogliere i ragazzi abbandonati culturalmente che divenivano facili prede delle cosche mafiose. Don Pino Puglisi conosceva bene i luoghi dove era cresciuto ed era consapevole dei problemi che affliggevano il suo quartiere, quello in cui egli predicava, e decise allora di rappresentare attraverso l’autorità della chiesa e dunque della religione, la bontà, l’autenticità e il cambiamento, per poter insegnare ai ragazzi abbandonati che si può sempre cambiare vita. Il suo primo insegnamento era proprio basato sulla concezione che esiste sempre una strada alternativa che consente una vita normale e serena, una alternativa prevalentemente sconosciuta dai ragazzi stessi. Nel 1991 durante una intervista di una emittente locale palermitana (Canale 46), don Pino Puglisi pronunciò parole di conforto e di speranza: “Ho visto bambini poveri, bambini lasciati così in mezzo a una strada dove diventano preda di persone senza scrupoli che poi li avviano alla violenza, alla devianza e quindi in quella zona così come in altre zone ci sono scippi, furti commessi da ragazzini magari che sono inconsapevoli di quello che fanno. Questi bambini avrebbero bisogno di un recupero etico, morale e cioè che riescano a capire quali sono i valori fondamentali della vita perché viviamo, perché siamo in questa società che cosa ci stiamo a fare…”
Comprendiamo che la Chiesa resta casa del perdono e dell’accoglienza, ma non possiamo non ricordare oggi don Pino Puglisi senza quel monito gridato da Papa Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993, quando si rivolse ai mafiosi ammonendoli sulla certa condanna divina. Quel “convertitevi” detto da Papa Giovanni Paolo II ai mafiosi oggi resta attuale, dinanzi ad una mafia che come ha in questi giorni ha detto il Vescovo di Monreale, mons. Pennini, è tornata a frequentare le Chiese senza un vero pentimento, anzi. Lì nelle Chiese ai mafiosi viene facile incrociare i bisogni della gente per offrire aiuto…in cambio sempre di qualcosa, anche mettere in mano ad un giovane dosi da spacciare, o anche un’arma, perché la mafia sommersa e la mafia che non spara non è cosa che possa durare ancora a lungo. E’ vero che la Chiesa di oggi, e quella siciliana in particolare, è l’opposto di quella che era la Chiesa dei tempi di don Pino Puglisi, ma ci sono ancora sacerdoti che intendono il loro ministero così come piace ai mafiosi. Anzi sono sacerdoti che si sono ammodernati, che usano i social, dove distribuiscono le loro prediche spesso in senso diverso rispetto magari ai messaggi dell’antimafia sociale, che hanno da ridire sulle confische dei beni e anche sulle indagini giudiziarie. Sacerdoti che non usano il sorriso come faceva don Pino Puglisi, perché sanno bene che alla mafia i sorrisi non piacciono. In questa nostra Sicilia purtroppo resistono ancora oggi delle sacche dove non si combattono la cultura mafiosa e gli interessi corrotti, dove l’onesto si ritrova imbrigliato nelle maglie soffocanti della mafia. La mafia non si sconfiggerà fino a quando non si vincerà la battaglia nelle periferie delle grandi città o nelle periferie delle Regioni, è qui che serve la voce forte della Chiesa, di quella chiesa che rifiuta u mafiosi alle processioni, della Chiesa che diffida da certe congregazioni o confraternite che le girano intorno, quella Chiesa che non fa passare i simulacri in processione sotto il balcone del boss del paese.
Don Pino ci ha indicato una via da seguire fatta di sorrisi, cultura della legalità, normalità e caparbietà, aspetti che fanno tanta paura a coloro che vorrebbero arricchirsi sulla pelle della gente normale, impoverendola sempre di più e quindi rendendola più corruttibile e controllabile. Padre Pino Puglisi è, non era, l’esempio di come la Chiesa, e non solo quella della sua Brancaccio, seguendo i propri principi, può essere attore principale nell’affermazione della giustizia sociale e di una cultura non a appannaggio di pochi. L’unico modo per ricordarlo è mettersi in moto, ognuno secondo le proprie possibilità, nel contrastare una mafia che cambia pelle e volti, ma resta una grave piaga che infetta il convivere civile e la giustizia, spingendo ancor di più ai margini coloro che un domani possano diventare manovalanza o comunque utili al suo scopo o cercando di emarginare chi opera ogni giorno nel combatterla. Il modo migliore per ricordare il suo sacrificio è agire, nel solco del suo modo di fare, un misto di gentilezza e decisione.