19 luglio 2021: il ricordo, la memoria, i lunghi silenzi, i depistaggi, le menzogne, i tradimenti, i falsi pentiti, i servizi deviati, le carte truccate. Si. 29 anni di carte truccate. Con i corpi dilaniati ancora per strada, tra il fumo nero del massacro e le lamiere contorte inizia “il mistero” di via D’Amelio. Menzogne, depistaggi, tanti buchi neri della strage nella più clamorosa falsificazione della storia della giustizia della Repubblica”. Ventinove anni dalla strage molte cose sono state accertate attraverso processi passati in giudicato. Molte altre invece sono rimaste a galleggiare fra verità nascoste, e depistaggi, in quello che fu un atto terroristico mafioso eversivo, che si inserì in una strategia più ampia, un disegno cospirativo volto a colpire l’Italia. In questa storia fatta di menzogne, depistaggi e misteri, anche i buoni si rivelano cattivi. E i cattivi non sono solo i mafiosi che mettono le bombe, ma anche gli investigatori che indagano per scoprire i bombaroli e tuttavia, invece di cercare la verità, si mettono a fabbricare prove false per arrestare le persone sbagliate. Questa è la storia del depistaggio di via D’Amelio.
29 anni fa la strage di Via D’Amelio in cui morirono il magistrato Paolo Borsellino e i cinque agenti della sua scorta (Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina). Per la strage di Via D’Amelio la verità è ancora lontana. E’ ancora avvolta nel mistero, ancor di più dopo che la Corte di Assise di Caltanissetta, con la sentenza del processo Borsellino quater, ha svelato l’incredibile depistaggio delle indagini realizzato attraverso le rivelazioni di alcuni falsi pentiti, che ha prodotto “uno dei più gravi errori giudiziari della storia del nostro Paese”. La sentenza del Borsellino quater ha stabilito che ad accelerare l’uccisione di Borsellino furono diversi motivi, come il probabile esito sfavorevole del maxiprocesso, la pericolosità, per Cosa nostra, delle indagini che il magistrato era intenzionato a portare avanti, in particolare in materia di mafia e appalti, e la scoperta della “trattativa” tra mafia e Stato. Una sentenza che riscrive la storia nera della Sicilia. I mafiosi secondo il Tribunale di Caltanissetta non agirono da soli ma insieme a personaggi ancora ignoti che si annidano tra le fila dei servizi segreti deviati o di altre istituzioni. Una cosa è tragicamente certa: non fu solo Cosa Nostra a uccidere il procuratore aggiunto Paolo Borsellino. Le indagini continuano per scoprire chi ha depistato, chi ha portato verso falsi obiettivi.
Verità e giustizia è la richiesta dei familiari di Borsellino, e della società civile, in un anniversario reso ancora più malinconico dalle misure Covid. Resta immutata la stessa domanda di sempre :chi ha ordinato le stragi del ’92? Chi c’è dietro la mano di Cosa nostra? Quali apparati dello Stato hanno coperto o peggio ancora collaborato all’assassinio di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Francesca Morvillo e degli otto agenti delle scorte? Chi e perché ha depistato le inchieste? Sono gli interrogativi ancora irrisolti su cui, a fatica, dopo 29 anni i familiari delle vittime cercano risposte con la procura di Caltanissetta impegnata nel processo sui depistaggi con tre poliziotti, che facevano parte della squadra dell’allora capo della mobile Arnaldo La Barbera, imputati per calunnia per avere pilotato Vincenzo Scarantino, il falso pentito che mandò al 41bis degli innocenti.
Paolo Borsellino è stato ucciso 24 ore prima che andasse a svelare alla Procura di Caltanissetta quel che sapeva sulle “confidenze” del suo amico Giovanni Falcone e quelli che potevano essere i moventi e l’ambito nel quale Falcone era stato assassinato il 23 maggio del 1992 assieme alla moglie Francesca Morvillo ed agli uomini della sua scorta. E’ quanto emerge dall’ultimo processo in corso per la strage del 19 luglio del ’92 dove furono uccisi Paolo Borsellino ed i cinque uomini della sua scorta e dove oggi ha deposto la figlia del magistrato, Lucia Borsellino. L’altro figlio, Manfredi al processo conferma: “Mio padre, dopo la morte di Giovanni Falcone, attendeva con ansia di essere interrogato dai magistrati della procura nissena, a tal punto che una volta disse pubblicamente: io qui non vi posso dire nulla, ciò che ho da dire lo dirò ai magistrati competenti”.
Cosa Nostra e forse non solo Cosa Nostra, aveva paura di quel che Paolo Borsellino sapeva sulla morte del suo amico Giovanni Falcone e che sarebbe andato a dire il 20 luglio del 1992 ai suoi colleghi di Caltanissetta, titolari dell’inchiesta sulla strage, con i quali aveva concordato un appuntamento per la sua testimonianza. Ma non ne ha avuto il tempo perché appunto, 24 ore prima, fu assassinato davanti l’abitazione della madre in via D’Amelio dove fu fatta esplodere una Fiat 126 imbottita di tritolo.