Il 22 maggio 2001 l’OMS – Organizzazione Mondiale della Sanità – elabora uno strumento di classificazione innovativo, multidisciplinare e dall’approccio universale, relativo alla definizione di disabilità. Nasce la “Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute”, denominata ICF, intesa come una classificazione che vuole descrivere lo stato di salute delle persone in relazione ai loro ambiti esistenziali (sociale, familiare, lavorativo) al fine di cogliere le difficoltà che nel contesto socio-culturale di riferimento possono causare disabilità.

Tramite l’ICF, quindi, si vuole descrivere non le persone, ma le loro situazioni di vita quotidiana in relazione al loro contesto ambientale e sottolineare l’individuo non solo come persona avente malattie o disabilità, ma soprattutto evidenziarne l’unicità e la globalità.

L’attenzione si concentra non sull’handicap, o sulla difficoltà personale in genere, ma sull’ambiente in cui una persona vive, ambiente che può, a seconda dei casi, accentuare o mitigare (fino ad eliminare del tutto), le difficoltà del singolo individuo, qualunque esse siano.

Cambiando punto di vista, quindi, si comprende meglio come le nostre case, i nostri edifici pubblici e/o aperti al pubblico, le nostre città, la qualità dei servizi, ecc., possono modificare, in meglio o in peggio, la vita di tutti, visto che abilità diverse caratterizzano ognuno di noi, sia per struttura fisica che per periodi della vita (un bambino ha esigenze diverse da un adulto che, ancora, ha necessità differenziate rispetto ad un anziano), prima ancora che per handicap, fisico o mentale, permanente o temporaneo, derivante da eventi traumatici o malattie.

Ci si aspetterebbe, quindi, che, almeno, si rispettassero le norme sull’accessibilità degli edifici e degli spazi pubblici, e che amministrazioni, e cittadini, si rendessero conto che una città accogliente lo è per tutti, in ogni fase della vita di ognuno, e qualsiasi sia l’abilità del singolo.

Ma, nel 2019, drammaticamente non è così. Le noste città sono escludenti; pensate, e progettate, per una piccola categoria di cittadini, spesso neanche prevalente. Sono città a misura di automobili e non di persona; di “normodotato” (ma esiste una normalità “standard”?) e non di persona con disabilità; di adulto e non di bambino; di giovane e non di anziano.

Spazi per la mobilità non automobilistica ridotti al minimo o inesistenti; barriere architettoniche ovunque; servizi pubblici e privati irraggiungibili per molti… una situazione così “usuale” da sembrarci, questa si, “normale”, tanto da non scandalizzarci, a meno che non ci troviamo, personalmente, a subire la privazione del nostro diritto alla mobilità, o alla fruizione di un servizio.

E si, il pensiero che siamo tutti “diversamente (DIS)abili” non ci sfiora, se non quando troviamo un ostacolo che ci impedisce di passare con il passeggino di nostro figlio tra file di auto parcheggiate, o un ascensore rotto non ci costringe a fare diversi piani di scale, o ancora l’impossibilità di usare, momentaneamente, l’auto, non ci fa scoprire che ampie zone della città sono irraggiungibili a piedi o con i mezzi pubblici.

Figuriamoci, poi, se qualche acciacco fisico, o un handicap vero e proprio, limitano le nostre capacità di movimento!!!

Una città PER TUTTI, quindi, è una necessità DI TUTTI. Una intera città, e non un percorso “dedicato ai disabili. privo di barriere architettoniche“, come ampiamente pubblicizzato da un nostro comune costiero (e fuori dal percorso, che faccio?). Un intero territorio, che permetta a TUTTI di studiare, lavorare, divertirsi, fare compere, viaggiare, ecc..

A tutti; ovunque. Perchè, come affermato dalla Commissione Europea Delivering and Accessibility (26/9/2002): “La disabilità è l’insieme di condizioni potenzialmente restrittive derivanti da un fallimento della società nel soddisfare i bisogni delle persone e nel consentire loro di mettere a frutto le proprie capacità“.

La società, cioè noi.

 

di Raffaele Di Marcello

P.S. Il Comune di Teramo ha annunciato azioni per rendere il territorio comunale accessibile: disability management, piano eliminazione barriere architettoniche, adeguamento edifici pubblici. E’ un primo passo, che ogni comune dovrebbe fare. La mossa successiva sarà cambiare la mentalità dei cittadini, di quella società che non deve più fallire, per il bene di tutti.