TERAMO – Il Coordinamento #iostoconannacapponi ha organizzato un sit-in che si terrà martedì dinanzi al Tribunale di Teramo dalle 11 alle 13, in occasione della prima udienza lavoro che si celebrerà il 18 dicembre 2018 alle 13, dinanzi al Giudice di Teramo Dott.ssa Pietropaolo, relativa al ricorso avverso la sanzione disciplinare del licenziamento senza preavviso (SECONDO LICENZIAMENTO) irrogato alla vigilessa Anna Capponi dalla Commissione disciplina del Comune di Teramo con atto del 20 agosto 2018, a seguito della decisione della Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la sentenza penale n.2117 della Corte di Appello di L’Aquila del 22 giugno 2016, con la quale veniva condannata del reato di calunnia nei confronti del Comandate di P.M. e di un sottufficiale, venendo invece assolta dalle restanti accuse .
Di seguito la disamina dei fatti diffusa in una nota dal Coordinamento #iostoconannacapponi:
“Ma occorre fare un passo indietro per capire la complessa storia lavorativa e giudiziaria di Anna Capponi, l’agente della Polizia Locale di Teramo che nel dicembre 2012 denunciò molestie sul posto di lavoro e che dopo una serie di vicissitudini si trasformò da accusatrice in accusata!
La vicenda giudiziaria che la vede protagonista inizia con un esposto–querela, presentato alla Procura di Teramo in data 4 dicembre 2012, nei confronti del Comandate di P.M. e di due sottufficiali, le accuse sono di violenza sessuale e di mobbing a carico del Comandate e di un Sottufficiale e di mobbing, lesioni e percosse nei confronti di un terzo sottufficiale. Nelle 24 pagine della denuncia, corredata da copiosa certificazione medica attestante lo stato “ ansioso depressivo da situazione di lavoro avversativa, causato dalle distruttive ripercussioni psicologiche del mobbing di cui era vittima, riferiva del clima da caserma e del regime di ostilità in cui aveva lavorato dall’anno 2002 ( data di assunzione ) all’anno 2007 ( anno in cui era stata trasferita al Settore Urbanistica a seguito di accordo di clima) e, della ripresa delle ostilità al rientro in servizio dalla Procura della Repubblica ( dove per merito era stata voluta dall’allora Procuratore Gabriele Ferretti) per decisione del medesimo Comandate per paventate “ragioni organizzative“, poi mai attuate al rientro in quanto destinataria di ulteriori atti discriminatori, molestie e violenza sessuale relativa al giorno 13 giugno del 2012, quando: ”veniva convocata nell’ufficio del comandante per esprimere un parere in merito ad un atto proveniente dalla procura ed, in ossequio alla richiesta del suo superiore, che «invitava ad andare vicino a lui dall’altro lato della scrivania ove era seduto davanti al Pc. apriva così un file contenente materiale pornografico, dichiarato essere il filmino di Belen Rodriguez quando ancora non era maggiorenne e, dopo avermi bloccata, accompagnò la mia mano sul suo membro già in stato di erezione Impossibilitata nel muovermi venivo costretta a guardare il filmino. Ricordo esattamente scorrere le immagini in cui Belen praticava sesso orale e le frasi del mio superiore che mi invitavano a concedergli favori sessuali. Mi chiedeva se mi piacesse e mi invitava ad imparare dalle prestazioni della Rodriguez. Con quella bocca che hai… diceva. Solo dopo un tempo indefinito, riuscivo a divincolarmi e a scappare fuori da quella stanza. Fuori da una stanza ove troverà qualcosa che non somiglia per niente a conforto e sdegno poiché le colleghe che erano fuori a sghignazzare, poi, al momento della testimonianza dichiareranno di non ricordare…”.
La Procura Della Repubblica di Teramo dà impulso alle indagini dopo oltre due mesi dal deposito della querela (5.12.2012) solo a seguito della fuga di notizia pubblicata e, seppur sul quotidiano on line.
Seppure nei giorni 15 e 16 febbraio 2013 sul quotidiano IL CENTRO e sul sito on line CERTASTAMPA.IT, vengono riportate ulteriori informazioni che solo la Procura poteva conoscere, poiché scritte in querela ( identità della vigilessa, suo stato di salute, precedente impiego, mobbing… ecc) oltre a notizie utili ai fini delle indagini e che dimostravano la corrispondenza delle accuse in quanto, colleghi (ignoti) dichiaravano alla giornalista Elisabetta Di Carlo (Certastampa) l’esistenza e circolazione all’interno del Comando di P.M. del filmino di Belen , il P.M. omette di acquisire anche tali giornali al fine di acquisire notizie utili alle indagini ( ad esempio l’identità degli agenti di P.M. che avevano riferito in merito), né, durante l’escussione degli agenti\sottufficiali vengono fatte domande su quanto uscito sui giornali, ovvero sulla circostanza della circolazione e diffusione del filmino porno di Belen all’interno del Comando.
Le indagini preliminari hanno inizio con la prima delega datata 16.02.2013 fatta alla Stazione P.G. Carabinieri Sede, pertanto dopo la fuga di notizia sul quotidiano il tempo e sul sito on line i due punti in data 14 febbraio 2013 , e dopo l’uscita dell’intervista al Comandate Zaina del 14 e 15 febbraio 2013, sulla testata on line CERTASTAMPA.IT, che ammette che il filmino pornografico di Belen era sul computer di un sottufficiale ma che ne aveva ordinato la cancellazione e le dichiarazioni rese e da parte di alcuni agenti di P.M. (ignoti) che ne avevano avuto cognizione diretta, che confermava l’ipotesi accusatoria della querelante.
Il P.M. avrebbe pertanto dovuto verificare ed accertare prima di ogni altro elemento probatorio, attraverso l’ispezione dei computer interessati in uso presso il Comando, la presenza del “filmino di Belen” e/o di altri di quel tipo e/o accessi a siti porno durante il normale orario di lavoro con i mezzi di proprietà dell’Amministrazione Comunale, ovvero se fossero stati cancellati file che comunque rimangono nella memoria del P.C., viceversa, decide di non procedere al sequestro come richiesto dalla Capponi in denuncia.
Il 19.02.2013 il P.M. iscrive d’ufficio un fascicolo nei confronti del giornalista Fabio Capolla e del blogger Falconi Giancarlo per i fatti commessi in data 14.02.2013 per il reato p. e p. dall’art. 683 c.p . e, a seguito di acquisizione di tabulati telefonici di Falconi e Capolla, e sulla base di “comunicazioni” (che poi il perito di parte Simone Bonifazi chiarirà non essere conversazioni e di alcune conversazioni di alcuni secondi!), senza acquisire anche i tabulati telefonici della vigilessa, la iscrive , in concorso di reato per aver diffuso il contenuto della querela e\o consegnato addirittura copia di essa. I giornalisti vengono assolti dalla Corte di Cassazione poiché il fatto non costituisce reato, mentre la Capponi viene assolta a seguito di processo durato 4 anni per non aver commesso il fatto (oltre che perché il fatto contestato non fosse reato!).
Nel mentre le indagini relative ai due fascicoli in cui in uno la vigilessa era parte offesa e nell’altro era indagata, vengono delegate al Nucleo Carabinieri Sede Procura.
Dagli atti d’indagine, però, emerge che mentre il p.m. delega la p.g. carabinieri sede, il luogotenente (senza averne la facoltà) sub delega l’attività di indagine al vertice del comando di polizia municipale indagato, in violazione del segreto istruttorio, che era stato già ampiamente compromesso dalla fuga di notizie uscite sulla stampa locale nei giorni 14 e 15 febbraio 2013
Una delle prove è rappresentata dai cartellini on line delle presenze dei dipendenti del Comando , riferiti ai mesi di giugno e luglio, irritualmente stampati dallo stesso Comandate (indagato) e trasmesse ai Carabinieri Sede su carta intestata dell’Ufficio Comando.
In sede di interrogatorio, seppur non gli viene chiesto, il Comandate per quel giorno esibisce un certificato medico senza orario , a prova della sua assenza sul lavoro.
Il P.M. il giorno successivo all’interrogatorio degli indagati, frettolosamente sulla base delle dichiarazioni degli stessi e di colleghi ai quali durante i SIT era stato accuratamente evitato di fare domande pertinenti alla denuncia (presenza sul computer in uso al Comandate e, più in generale su altri computer del Comando del filmino pornografico della showgirl Belen Rodriguez girato con l’ex fidanzato quando ancora era minorenne; presenza in Ufficio del Comandate e della Capponi), in base alla lettura opinabile delle celle telefoniche, che collocava (erroneamente) quella mattina del 13 giugno 2012 la parte offesa all’Università di Teramo (seppur le timbrature dimostravano il contrario ed alcun permesso ad uso studio era stato autorizzato) ed il Comandate all’Ospedale Civile di Teramo, dichiarava di non poter esercitare l’azione penale per l’insussistenza dei fatti denunciati ed il G.I.P. con ordinanza del 19.08.2013, riteneva che gli elementi acquisiti non fossero idonei a sostenere l’accusa in giudizio, con conseguente adozione del provvedimento di archiviazione per tutti i reati denunciati.
A seguito dell’archiviazione del procedimento penale sulla conclusione del carattere calunnioso delle accuse, nonostante nel provvedimento di archiviazione da parte del G.I.P. nessuna valutazione sulla fondatezza o meno dei fatti denunciati era stata espressa, il medesimo P.M. apriva d’ufficio nei confronti della Capponi il fascicolo P.P. n. 1871\2015 R.G contestandole il reato di calunnia, ,evitando così al Comandate e Sottufficiali di dover proporre denuncia querela Il Comandate pertanto, per se e per i due sottufficiali, accusandola di calunnia, trasmetteva, alla Commissione Disciplina, la richiesta di attivazione del procedimento disciplinare del licenziamento senza preavviso, mentre, si astenevano di proporre all’A.G. la denuncia querela per il medesimo reato. La Commissione Disciplina del Comune di Teramo ,immediatamente attivava il provvedimento disciplinare per gravi motivi e, sulla conclusione del carattere calunnioso delle accuse, mentre in realtà nessuna valutazione sulla fondatezza o meno dei fatti denunciati era stata espressa nel provvedimento di archiviazione dal G.I.P., decideva di applicare la sanzione del licenziamento senza preavviso con effetto dal 18 novembre 2013. (PRIMO LICENZIAMENTO).
Il licenziamento disciplinare impugnato, con ordinanza n. 6160/2014 del 31.10.2014 RG. N. 788/2014 del giudice del lavoro Pietropaolo veniva dichiarato “nullo perché ritorsivo, non che l’illegittimità per difetto di giusta causa, sollevando, altresì. Contestazioni attinenti alla tempestività della contestazione disciplinare e alla violazione del ne bis in idem, con conseguente richiesta di condanna dell’Amministrazione resistente alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento del danno, pari ad una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento a quello dell’effettiva riammissione in servizio”.
Ma la vicenda lavorativa non si placa, poiché reintegrata il 18.11.2014 presso il Comando di Polizia Municipale di Teramo, la Capponi si trovava di nuovo a combattere giornalmente nel medesimo ambiente ostile e sottomessa al Comandate e ai sottufficiali denunciati, destinataria di ulteriori azioni atte a destabilizzarla e ad umiliarla nella sua identità di donna e lavoratrice, subendo, dopo soli 10 giorni, all’interno della Sala Operativa del Comando, il furto del borsellino con sottrazione di 100 euro, e denuncia penale poiché, a detta loro che avevano rinvenuto il medesimo borsellino all’interno del giubbino di una collega, una volta aperto (perquisizione effettuata in violazione di legge e senza garanzie, in mia assenza) all’interno dello stesso era stato rinvenuto un non meglio bigliettino con le credenziali informatiche di uno dei sottufficiali denunciati; un’accusa “grave che avrebbe portato ad altro licenziamento.
In sede di incidente probatorio richiesto dalla Capponi sulle impronte digitali sul borsellino oggetto di furto e sulla calligrafia del post-it , le perizie escludevano la sua responsabilità ed il procedimento penale archiviato. Mentre la Procura, per il furto subito e la calunnia relativa al possesso del codice informatico in uso ad una pubblica amministrazione, riteneva di non procedere nei confronti nessuno degli indagati (Comandante, vice comandate e, agenti e sottufficali) ed il procedimento penale archiviato per mancanza di prove!
Successivamente ai fatti, la Capponi venne trasferita presso il Gabinetto del Sindaco, e sottoposta (illegittimamente) al potere datoriale del Segretario Generale che attuava una serie infinita di azioni vessatorie (demansionamento con attribuzione di mansioni inferiori, richiami ingiustificati, mancata assegnazione di un ufficio e dei mezzi di lavoro – auto di servizio, computer) per le quali il Dirigente sindacale Valter Falzani, provvedeva a diffidare più volte il Sindaco del Comune di Teramo, il Segretario Generale ed il Comandate di Polizia Municipale, sia per avere riassegnate le mansioni precedentemente occupate, sia per ripristinare il benessere organizzativo tutelato dal D.Lgs. n.81/2008: di fatto emarginata e privata del proprio status nonostante un curriculum che l’aveva vista destinata dal maggio 2009 al marzo del 2012 agli Uffici della locale Procura.
Nonostante le diffide inoltrate dal sindacato ad utilizzare l’agente in conformità alle mansioni di contratto e le richieste di conciliazione dinanzi all’Ispettorato del Lavoro, il Comune di Teramo non solo non conveniva ad una conciliazione, ma la continuava a discriminarla tanto che, nel novembre 2017, avendo (inutilmente) richiesto l’intervento del C.U.G. del Comune di Teramo, ricorreva alla Consigliera di Parità della Provincia di Teramo Monica Brandiferri, con la quale il sindacato ha lavorato in sinergia proponendo, per ben tre volte, richieste conciliative rimaste inevase.
Nel mentre, continuando la battaglia in sede penale, veniva condannata per calunnia (su alcuni dei fatti contestati dalla Procura) in tutti e tre i gradi di giudizio poiché la Cassazione riteneva inammissibile il ricorso. La condanna definitiva arrivava nonostante in secondo grado, la Corte d’Appello, a seguito di una diversa ricostruzione ( seppur non proprio aderente alla lettura dei tabulati e delle celle telefoniche) riconoscesse che sia la scrivente che il Comandate si trovassero presso il Comando al momento dei fatti, e che, dalle perizie informatiche eseguite sul computer della pubblica amministrazione ed in uso al Comandate (alla quale era condizionata la richiesta di rito abbreviato) era emersa la presenza del filmino di Belen oltre numerose navigazioni su siti pornografici (oltre 600 link e 4 chat per adulti).
Dopo quattro lunghi anni e numerose udienze, il giudice del lavoro Dr. Giuseppe Marchegiani decideva l’opposizione proposta dal Comune di Teramo e con sentenza n. 473/2018 del 04/06/18 pubbl. il 19/06/18 RG n. 2342/2014, decideva “di accogliere l’opposizione limitatamente alla qualificazione della natura del vizio dal quale è affetto il licenziamento impugnato e per l’effetto dichiarato che lo stesso è illegittimo per insussistenza dei fatti posti a fondamento dell’esercizio del potere disciplinare anziché radicalmente nullo siccome intimato per ritorsione confermando la condanna del Comune di Teramo alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro precedentemente occupato oltre al risarcimento del danno subito a causa del licenziamento, come liquidato nell’ordinanza opposta”, nel posto di lavoro precedentemente occupato”.
I Dirigenti della Commissione Disciplina non dandosi per vinti, oltre ad impugnare in Appello la sentenza di reintegra, decidevano di licenziare nuovamente l’agente Capponi… per il medesimo motivo!
Con sentenza n.559\2018 del 1° ottobre 2018 la Corte di appello di L’Aquila-sezione lavoro, accoglieva il reclamo del comune di Teramo e, per l’effetto, a riforma della sentenza di primo grado, rigettava le proposte della Capponi.
Avverso la sentenza , la Capponi ha depositato ricorso dinanzi la Corte Suprema di Cassazione, per evidenti violazioni di legge della pronuncia dei giudici della Corte D’Appello. Uno dei punti in diritto del ricorso è riferito alla valutazione compiuta dalla Corte: la Capponi non poteva essere punita, in base all’art. 3 del C.C.N.L. del personale non dirigente del comparto Regioni e Autonomie Locali relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio
economico 2006 – 2007 del 11 aprile 2008, soltanto con una sanzione conservativa in quanto: a) il predetto articolo al comma 5, lettera g), espressamente prevede che “comportamenti… gravemente ingiuriosi, calunniosi o diffamatori nei confronti di altri dipendenti … o di terzi” possono essere sanzionati con la sospensione dal servizio con privazione della retribuzione fino ad un massimo di 10 giorni; b) è evidente che l’aver presentato una querela ritenuta calunniosa configuri proprio il comportamento sanzionato dalla suddetta disposizione. Non vi è dubbio, quindi, che la Corte di Appello nel ritenere sussistente una giusta causa di licenziamento abbia violato l’art. 3, comma 5, lettera g) del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro del personale non dirigente del comparto Regioni e Autonomie Locali relativo al quadriennio normativo 2006-2009 e al biennio economico 2006 – 2007 del 11 aprile 2008. Il licenziamento della Sig.ra Capponi, dunque, è chiaramente illegittimo in quanto alla condotta contestata alla ricorrente poteva essere applicata soltanto una sanzione conservativa e non un licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c.”I comportamenti attribuiti alla dipendente, infatti, non potevano essere ricompresi nelle ipotesi previste dal C.C.N.L. e dalla Legge per l’irrogazione di una sanzione espulsiva. Né si può sostenere che il passaggio in giudicato della sentenza penale che accertava la calunnia consentisse, in base all’art. 2119 c.c., di considerare che il recesso era giustificato (non essendo, peraltro, esso posto alla base della contestazione disciplinare e del licenziamento).Il richiamo alla nozione legale della disposizione del codice civile, in verità, può operare soltanto nel caso in cui il comportamento addebitato non sia inquadrabile nelle altre ipotesi di giusta causa di recesso tipizzate dalla legge o in quelle per le quali il contratto collettivo prevede una sanzione conservativa o espulsiva. In definitiva l’art. 2119 opera solo in via residuale, quando cioè il comportamento contestato non sia riconducibile a nessuna delle previsioni del C.C.N.L. di comparto o dell’art. 55 quater del Lgs. n. 165/2001.
OVVERO IN BASE AL CCNL DI COMPARTO L’AGENTE CAPPONI ANNA, NON POTEVA ESSERE LICENZIATA ED INVECE PER I MEDESIMI MOTIVI E’ STATA LICENZIATA DUE VOLTE!
Il Coordinamento #iostoconannacapponi vuole porre l’attenzione della cittadinanza, delle istituzioni e della stampa, la vicenda e le vicissitudini patite dall’agente Anna Capponi di Teramo, donna, lavoratrice, moglie e mamma, per far prendere coscienza della pluralità di forme di violenza perpetrate sul posto di lavoro che la maggior parte delle volte rimangono taciute per paura di ritorsioni che puntualmente avvengono, costando un prezzo carissimo come in questo caso, non con uno ma addirittura due licenziamenti senza preavviso, oltre a tutte le altre discriminazioni, vessazioni ed atti persecutori subiti dalla data del suo reintegro, nell’anno 2014 alla data del suo secondo licenziamento. Una lavoratrice che ha avuto il coraggio di denunciare, da cui prendere esempio, non può essere perseguitata dalle istituzioni tutte, le stesse preposte a far rispettare la legge.
Il caso di Anna Capponi, che da sola e per sei lunghi anni ha tenuto testa, fegato e cuore combattendo e denunciando i soprusi subiti, per identificarsi con tutte le donne che hanno il diritto di svolgere il proprio lavoro in maniera piena, indisturbata e serena e per risvegliare la consapevolezza della coscienza femminile, continuamente minacciata dalla (pre)potenza di un messaggio distorto ed a sfondo maschilista, è divenuto un caso nazionale tanto che, al suo fianco, oltre alla Consigliera di parità Monica Brandiferri, la Consigliera Regionale Alessandra Genco ed il Sindacato di Categoria CSA Dipartimento Polizia locale (coordinamento provinciale di Teramo), si sono schierate diverse Associazioni Nazionali a sostegno delle vittime di violenza prima tra tutte l’associazione A.I.D.E. Nettuno (Associazione Indipendente Donne Europee) Presidente Anna Silvia Angelini, responsabile anche dello sportello antiviolenza “Uscita di Sicurezza” di Nettuno, alla quale si sono unite sempre più associazioni territoriali e nazionali”.