TERAMO – Luciano Campitelli è un uomo soprattutto orgoglioso: mai e poi mai ci dirà che il calcio gli manca da morire. Mai e poi mai dirà che, se potesse, ricomincerebbe tutto daccapo. Ma il calcio gli manca. Gli manca da morire. Ne siamo certi.
Questo non implica che tornerà, prima o poi, da qualche parte, ma indubbiamente, con il passare del tempo, le domeniche hanno sempre più, per lui, sapori diversi, odori diversi. E’ di quelle componenti dimenticate che l’ex presidente si nutriva, ancor prima di Teramo, quando nella “sua” Canzano si divertiva a fare calcio, a vincere ed a perdere, ad esonerare allenatori e ad urlare ai suoi calciatori.
Questione di passione, anche di una folle passione, che il calcio impone soprattutto a livelli non assoluti.
Recentemente un amico, che non segue il calcio neanche di striscio, mi ha riferito che, nel corso di una conviviale, Campitelli s’è confessato: il “pallone” proprio non riesce a dimenticarlo, nonostante dal 2015 al 2019, per lui, sia stato un lungo periodo quasi da “inferno”: quei cori di disapprovazione, soprattutto, lo ferivano, più degli esborsi milionari sostenuti negli anni. Più delle locazioni onerose che sopportava per poter mandare in campo la “sua” e la “nostra” squadra.
Era bravo anche nel non farlo trasparire, il presidente, ma lo facevano star male: nel tempo quel rapporto con la città, che ad un certo punto, partendo da zero, aveva toccato vertici epocali, lo fiaccarono. L’avvento di un imprenditore importante del territorio, lo convinse a mollare: non lo avrebbe mai fatto, né voluto fare.
Ma quanto gli manca, il calcio, a Luciano Campitelli!