L’ordine alla stampa è chiaro. Bisogna dire che va tutto bene. Eppure io quei due signori li conosco. Tutti al mare. Spiagge piene. Hotel strapieni. L’ordine è chiaro: con Draghi va tutto bene. Eppure io quei due signori li conosco. Ora non ricordo, ma io quei due signori in fila li conosco. Chi sono ? Draghi è forte. Draghi è bello. Eppure quei due signori sono di Teramo e li conosco. E adesso mi ricordo anche chi sono.
Testa bassa. In fila. Composti. Distinti. Silenziosi. Occhi tristi. Siamo in una delle zone più belle di Roma. Anzi semo proprio “nel core der core” de Roma. La zona che a fine anni ’70 per prima mi ha accolto, cullato, protetto, da ingenuo, giovane, studente universitario teramano, un po’ cogl….. E’ la zona dove ho cominciato a lavorare, nel teatro dei Satiri, nel 1979. Siamo a Largo Argentina, dove fu ucciso Giulio Cesare. Siamo a via Caetani, via Botteghe Oscure, che richiamano la storia recente. Tra Largo della Torre Argentina e Campo dei fiori, tra il ghetto e il Pantheon. Siamo a campo dei fiori con la sua movida. Siamo al Palazzo Santa Croce, un palazzetto del 1400. Siamo nella famosa Piazza del Monte di pietà. Al numero 33, da 500 anni c’è il “servizio di prestito su pegno” detto “banco dei pegni” che nacque, nel 1500, con l’intento misericordioso di combattere gli usurai ebrei, e così rispondere alle esigenze di credito dei poveri.
Una zona bella. Ma ci sono sempre passato lontano. Vedere quella gente in fila, soprattutto giovani, tossici, madri in difficoltà e anziani malandati, mi ha sempre inflitto una tristezza infinita. Un dolore difficile da sopportare. Una angoscia che ha sempre aperto riflessioni dolorose su quanto possa essere ingiusta la vita. Pensando che dal quella piazza basta attraversare corso Vittorio per trovare i ristoranti del Senato, e gli hotel di piazza Navona da 1.000 euro a notte. Anche se, da giovane universitario, forse ero più povero di loro, vedere dei padri di famiglia con la fede in mano o delle madri con i ricordi dei genitori mi feriva troppo. Non lo riuscivo a sopportare.
Ma passa il tempo, scemano i ricordi, così ieri, una bella giornata di sole, luminosa, colorata, di inizio estate, uscendo dalla Feltrinelli di piazza Argentina, per pranzare con la fantastica pizza del forno di Campo dei Fiori, sono passato in Piazza del Monte di pietà . Che errore!! Una fila immensa mi ha stroncato il respiro. In un ordinato silenzio una fila lunga e silenziosa, sotto il sole battente, molto più lunga del solito mi ha fermato il battito. Almeno cento persone. Senza un brusio, erano in attesa di entrare. Sperando di entrare. Per vendere una parte della propria vita. Una specie di via crucis ai tempi del distanziamento sociale. Si procede di qualche passo e poi ci si ferma, in attesa di avanzare nuovamente. C’è tutto il tempo per prendere coraggio. C’è tutto il tempo per consumare anche l’ultima lacrima. Il traguardo è una porta a vetri dove si legge: “Credito su stima“. Significa liquidità immediata, ed è un modo per sopravvivere alla crisi economica scatenata dalla pandemia. In tempi di ristrettezze economiche, aggravate dall’emergenza virus, ho così scoperto che oggi sono tanti gli italiani che in attesa di un aiuto del Governo che colpevolmente tarda a venire, fanno ricorso al Monte dei Pegni per ottenere un po’ di contanti. Per sopravvivere oggi sperando in domani. Ho scoperto uno spaccato sociale angosciante, diventato in questi giorni devastante. Dove migliaia di italiani sono costretti a fare la fila per avere liquidità. Anche per 100 euro. Una realtà che preferiamo ignorare chiudendo gli occhi. Una realtà nascosta. Ma all’improvviso la realtà riemerge feroce. E scopriamo che questo è quello che accade in un giorno normale nel cuore del nostro Paese.
Preferiamo ignorarlo. Noi, i più, lo ignoriamo. Ma questa è la realtà. La povertà. Dignitosa ma sempre povertà. Nascosta. Lunghe file, certo, imposte anche dalle misure di distanziamento, ma che comunque danno l’idea di quello che è il momento che vivono i non garantiti in un’Italia che rischia anche da un punto di vista sociale. Perché dopo l’emergenza sanitaria, c’è senz’altro l’emergenza di carattere economico e sociale. Non è facile fare quella fila. In silenzio, a testa bassa. Si porta di tutto, soprattutto oro e gioielli. Quegli oggetti stretti in una mano hanno un valore incommensurabile, perché rappresentano la vita. Collezionati nel corso degli anni, ricordi di giorni felici e delle persone care. La catenina del fidanzamento. La penna del primo giorno di lavoro. La spilla che la tua famiglia si tramanda da generazioni. L’orologio regalato da tua madre, gli orecchini che hai comprato con il primo stipendio. Il servizio di posate della domenica. Persino la fede.
Non riesco a respirare. Lunghe file fatte anche da commercianti e liberi professionisti, che hanno bisogno urgente di liquidità, per riaprire le attività e ripartire. Un po’ distanziato, un signore si arrangia a distribuire dei fogliettini numerati. Ore 12:00, qualcuno arriva ora. Qualcuno porta una piccola sedia da casa. Un altro disgraziato, distanziato dagli altri, mani sugli occhi, aspetta in silenzio. Un giovane alza la voce “Sono da un anno a casa. Come vivo?”. La tensione è tangibile. Come il dolore. C’è sconforto e disperazione. Ma questa è una soluzione veloce: si entra e nel giro di 10 minuti si ha un prestito, senza problemi: si può scegliere un riscatto a tre mesi, fino a 3 anni. Nessuno chiede chi sei, il nome, che lavoro fai, se si hanno debiti, la casa, quale situazione si vive. Molti dai ladri delle banche non potrebbero entrare. La maggior parte sono figli della Iena madre, l’Agenzia delle entrate. In coda le lingue si mischiano. Metà donne e metà uomini, molti giovani. Una ragazza malandata vende un piccolo gioiello, dopo aver venduto tutto quello che poteva vendere, corpo compreso. Ma l’età è medio alta. Molti sono anziani e fanno ancora più pena. Ma che modo è questo per terminare la vita? Qualche immigrato che si aspettava un destino diverso. C’è chi ha perso il lavoro per il virus, chi faticava già prima e a malapena arrivava alla fine del mese. Basta uno sgambetto della vita, una malattia e ti ritrovi in fila per rinnovare il prestito, non per riscattare. E tra questi, all’improvviso, come un tonfo al cuore, come una mazzata in testa, incrocio gli occhi tristi, e gli sguardi imbarazzati, di due noti commercianti teramani. Due che non mi sarei mai aspettato di trovare li. A guardarli al bar non lo diresti mai. Pensi tutt’altro. Mi hanno riconosciuto. Negli anni passati li ho visti più volte in teatro nei miei spettacoli. In pochi secondi devo decidere se salutarli oppure no. In pochi attimi devo scegliere come toglierli dall’imbarazzo, e così ho guardato in alto, poi indietro, e ho deciso di far finta di non averli riconosciuti. Magari ho sbagliato. Non so. Magari serviva una parola di conforto. Non so. Il fatto è che quando ti imbatti in persone in difficoltà, negli ultimi, nelle vittime, nei sofferenti per ogni genere di ferita, è difficile abbracciarle. E’ difficile abbracciare quella umanità, provata dalla fatica esistenziale, dalla dignità negata. E’ difficile entrare nell’ottica della speranza umana, che si afferra al legno della Croce bagnato del sangue di Cristo. Il fatto è che avevo bisogno di riprendere il fiato. Lo so. Da privilegiato dovrei essere solidale senza tanto pensare. Ma non è così. Mentre avevo appena acquistato dei libri superflui respiravo la ferocia della povertà, l’angoscia del mettersi in coda davanti al Monte Pegni. Il lavoro bloccato, stipendi negati, cassa integrazione che tarda ad arrivare, hanno ingrossato la fila di gente che impegna oro e ricordi di famiglia per mangiare, per tamponare delle difficoltà temporanee. Senza finire in mano agli strozzini. Vi prego, fate presto. Vi prego.