Andrebbe riletto Primo Levi. Altrimenti si rischia davvero di credere a certi articoli, di questi tristi giorni, che raccontano di una guerra iniziata per una “manciata di case” a cui i palestinesi non vorrebbero rinunciare. La realtà è complessa e ognuno si porta dietro i segni sulla pelle della propria storia. Andrebbe riletto il libro di Berel Lang in cui Levi dice: «Dal 1935 al 1940, rimasi affascinato dalla propaganda sionista, ammiravo il Paese e il futuro che stava pianificando, di uguaglianza e fratellanza». Andrebbe riletta la Conversazione con Levi di Ferdinando Camon in cui Levi dice: «Lo Stato d’Israele avrebbe dovuto cambiare la storia del popolo ebraico, avrebbe dovuto essere un zattera di salvataggio, il santuario a cui sarebbero dovuti accorrere gli ebrei minacciati negli altri Paesi. L’idea dei padri fondatori era questa, ed era antecedente alla tragedia nazista: la tragedia nazista l’ha moltiplicata per mille. Non poteva più mancare quel Paese della salvezza. Che ci fossero gli arabi in quel Paese, non ci pensava nessuno. Ed era considerato un fatto trascurabile di fronte a questa gigantesca vis a tergo, che spingeva là gli ebrei da tutta Europa. Secondo me, Israele sta assumendo il carattere e il comportamento dei suoi vicini. Lo dico con dolore, con collera. Non c’è differenza tra Begin e Khomeini».
Erano in 5mila ieri a Milano, al presidio organizzato dai Giovani Palestinesi d’Italia. Seconde e terze generazioni, italiani accanto ad altri italiani, giovani, meno giovani, movimenti del territorio, centri sociali. C’è anche il rapper Ghali e ci sono anziani e giovani palestinesi che raccontano la loro storia, la loro duplice identità, la loro diaspora. E c’è la polizia che blocca un tentativo di corteo.
Hanno manifestato, come sta accadendo in Italia ovunque in questi giorni, da Palermo a Cagliari, contro l’offensiva militare israeliana a Gaza, gli sgomberi a Sheikh Jarrah, le violenze in Cisgiordania e le città miste in Israele. Tante persone in tutto il paese in direzione contraria a quella della politica dei partiti, questi giorni quanto mai unita intorno alla narrativa israeliana.
«Israele non esiste in solitaria», dice una ragazza dal palco, appellandosi all’Europa e ai media italiani, ritenuti responsabili di un silenzio imbarazzante e in molti casi in una narrazione a senso unico. Milano tornerà in piazza domani insieme a Modena e Catania.
Oggi invece tocca a Roma (alle 16 a piazza Esquilino, con un presidio organizzato dalla Comunità palestinese di Roma e del Lazio e da Assopace), a Napoli, Savona, Bologna, Pisa, Firenze, Empoli, Vicenza, Brescia, Livorno, Parma, Pavia, Trento, Torino, Salerno. Una mobilitazione fisica che si aggiunge a quella virtuale, sui social, dove ieri a emergere con potenza è stata la protesta di giovani ebrei italiani.
Si sono fotografati con un cartello in mano e la scritta #NotInOurNames, non massacri e occupazioni militari nel nostro nome. «Ci uniamo – scrivono – ai compagni e alle compagne attivisti in Israele e Palestina e al resto delle comunità ebraiche nella diaspora che stanno facendo lo stesso».