La notizia della morte della dolce guerriera ci ha colto attoniti ed increduli.
Una di quelle notizie che non si è preparati a ricevere: stava male da tempo, dal 2017 combatteva contro “il bastardo” come lei chiamava quel tumore che l’aveva costretta a cicli di chemioterapia.
Nadia però non era quel tipo di donna facile all’abbattimento: del resto la sua vita è un esempio di indomabilità condita con un sorriso disarmante.
Nadia ha dovuto sopportarne tante dai suoi detrattori: persino la insinuazione che la malattia fosse un buon espediente per una ribalta mediatica.
Purtroppo l’animo umano, spesso, è schermato da atteggiamenti difensivi e denigratori al punto da non riconoscere né distinguere chi implora visibilità da chi quella ribalta la ottiene dalle cose in cui crede, dalle inchieste attraverso le quali combatte.
Nadia era una donna determinata, autentica e dolce al tempo stesso.
Non si arrendeva davanti a nulla e bussava alle porte del potere in modo insistente fino a che non otteneva una infastidita, ma conseguente risposta.
Perché lei questo doveva al suo pubblico, a questo mirava: che il cittadino fosse maggiormente consapevole delle arroganze che venivano confezionate contro di lui, delle macchinazioni ordite di nascosto che lei, candidamente, smascherava.
Un modo di fare il giornalismo che dovrebbe essere maggiormente seguito nel nostro Paese dove invece, imperversano gli adulatori del potere di turno.
Davvero un impegnativo “testimone” hai passato, Nadia, nel giro di pista della tua vita: questo ti rende unica e mostra quanto enorme sia il vuoto che hai lasciato.
Ci sarà qualcuno davvero così coraggioso da saperlo raccogliere?
Forse ci sarebbe bisogno di un processo di rigenerazione del giornalismo italiano attorno al tuo nome: ecco, questo mi auguro, in tua memoria.
Perché c’è il tempo del dolore per la tua perdita, il tempo della elaborazione del lutto per riflettere sulla tua scomparsa e le conseguenze che questo determina, un tempo per la reazione che ci trasformi e ci renda diversi da come siamo, per come agiamo.
Questo ti dobbiamo, dolce guerriera!

di Ernesto Albanello