Sono stato intervistato di recente per fornire una mia “lettura” del fenomeno della “movida”: mi è stato chiesto di pronunciarmi in merito a quella “violenta”. Resse di giovani che, incuranti del distanziamento e dell’obbligo di indossare le mascherine in caso di vicinanza estrema, hanno “popolato” discoteche e luoghi all’aperto a Teramo e provincia , con l’aggravante che, nella concitazione, erano persino spuntati dei coltelli.
Ho dato una mia risposta con cui illustravo questo fenomeno.
L’ho descritto, paragonandolo alla “pentola a pressione” e le incognite che riserva se non si decomprime facendo uso della valvola.
In pratica, ho ritenuto di interpretare il fenomeno come risposta che hanno avuto i giovani, forse scompostamente, al lungo periodo di “domiciliazione forzata” che, di fatto, li hanno segregati ed impedito, così, di incontrarsi, animando le loro serate.
Superato il lockdown, si sono “ripresi il pregresso”, anche trasgredendo le disposizioni di legge, che hanno ignorato in maniera collettiva.
Ecco, l’ignoranza, il non sapere, di non assumersi una propria responsabilità: certamente qualcosa che non va molto d’accordo con “il far baldoria” per il gusto di avere qualcosa da raccontare o da postare sui social.
Come siamo però arrivati a questo punto? Ce lo domandiamo noi adulti? Ci siamo adoperati fin dov’era possibile o davvero non abbiamo autocritiche da farci ?
Parlavo prima di “ignoranza”, ma non come termine deteriore, ai limiti dell’offensivo, ma solo richiamandomi al “ significato di ignorare”.
Come si acquisisce la conoscenza? Come si accompagnano le giovani generazioni al “gusto” del vivere le emozioni che scaturiscono dalla lettura di un poema, dall’ascolto di un brano di musica, attraverso la osservazione di opere pittoriche o scultoree esposte nelle sale di un museo?
Teramo ha certamente fatto qualcosa in proposito: le scuole sono state molto attive in questo senso. Una manifestazione che si è realizzata in ogni circolo è partita appunto dall’analisi di un libro come “la gabbianella ed il gatto” di Luis Sepulveda oppure per mezzo della lettura diffusa negli angoli delle piazze e lungo vicoli e strade in centro attraverso “Lectus”, hanno indubbiamente il merito di “aver mosso le acque”.
Forse bisogna fare ancora di più e soprattutto occorre evitare che le iniziative siano episodiche, cioè non sistematiche.
Bisogna che almeno settimanalmente le vie e le piazze siano animate e stimolate da “opportunità di conoscenza” che siano proposte come “positive sollecitazioni” verso il sapere.
Ricordo con piacere che per i dieci anni dalla scomparsa del poeta Sardella furono posizionate lungo corso San Giorgio le più celebri composizioni in forma dialettale.
Qualcosa di analogo si potrebbe fare, ma spaziando in tutti gli ambiti dello scibile umano, dalla filosofia alla biologia, alla letteratura, all’astronomia, alla matematica, alla storia, alle scoperte geografiche, tanto per fare degli esempi?
Casomai stimolando una precisa fascia di età a partecipare a quiz, da cui si rilevi che determinate conoscenze sono state apprese?
Ad esempio invogliando i partecipanti ad inserire in appositi “bussolotti”, dei bigliettini contenenti le risposte, che, se esatte, siano valevoli per concorrere all’ottenimento di “buoni” da “spendere” nelle librerie cittadine?
Facendo poi delle manifestazioni pubbliche in cui venga dato risalto ai ragazzi che si sono distinti per merito e quindi, da proporre ai coetanei, come “modelli positivi”?
Insomma, se l’ignoranza giovanile la si vuole combattere con proposte concrete, le strategie non mancano, casomai anche stimolando i ragazzi ad impegnarsi personalmente, senza necessariamente fare ricorso a Google.
Anche perché i quiz dovranno anche includere altri aspetti come la descrizione degli stati d’animo che proveranno i ragazzi di fronte a situazioni in grado di suscitare emozioni come la rabbia, o come l’entusiasmo, o come la paura o il coraggio, la tenerezza o lo sgomento.
Ecco perché avevo concluso quella intervista di cui ho fatto cenno in apertura, precisando che gli adolescenti avrebbero bisogno di essere sostenuti da “accompagnatori emotivi”.
Teramo, se ci tiene a “salvare” le giovani generazioni, deve prevenire situazioni precipitose, che renderebbe ancora più ardua l’opera di recupero di soggetti che, non dimentichiamolo, non hanno neppure usufruito di un insegnamento degno di questo nome, in quanto le video-lezioni hanno , per quello che hanno potuto, soddisfatto la sfera dell’apprendimento: dunque, un tecnicismo senz’anima.
Saprà Teramo tornare ai fasti di un tempo, sia pure adottando dispositivi elettronici sconosciuti molti decenni addietro, quando era menzionata con il termine “L’Atene d’Abruzzo” ?
Ernesto Albanello