Una soluzione condivisa sulla vicenda del traforo del tunnel del Gran Sasso: che si trovi è la speranza dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), che gestisce i Laboratori Nazionali del Gran Sasso che si trovano sotto il massiccio, ossia i laboratori sotterranei fra i più importanti del mondo dedicati alla fisica. “Speriamo in una soluzione condivisa perché non è un problema dell’Infn, dell’acquedotto o delle autostrade: è un problema del sistema Gran Sasso” e risolverlo richiede un coordinamento”, ha detto all’ANSA Antonio Zoccoli, della giunta esecutiva dell’Infn. “E’ necessario – ha aggiunto – individuare eventuali problemi e chiudere la vicenda”.
La vicenda che ha coinvolto anche i Laboratori del Gran Sasso è cominciata nel 2016, quando nelle acque dell’acquedotto Ruzzo Reti sono state trovate tracce di diclorometano, toluene e cloroformio. In proposito l’Infn rileva che la prima sostanza è
un solvente molto comune e tende a escludere che le altre due possano provenire dai Laboratori. In generale “si parla di
tracce, ossia di quantità di sostanze al di sotto dei limiti fissati dalla legge”, ha rilevato Zoccoli.
Il Gran Sasso è una montagna ricca d’acqua e la costruzione del tunnel ha esercitato una pressione che porta l’acqua a
trasudare dalle pareti e a finire nell’acquedotto. Di questa, si calcola che il 90% provenga dal tunnel e il 10% dai Laboratori.
A queste si aggiungono le acque che vengono raccolte nelle gallerie dei Laboratori e che sono convogliate nei torrenti. “I
liquidi prodotti nei Laboratori del Gran Sasso non finiscono negli scarichi, ma in un circuito chiuso al termine del quale
vengono prelevati e trasportati altrove per essere smaltiti”. Quanto sta accadendo, secondo Zoccoli, sta innescando un
circolo vizioso: “ci dicono che i Laboratori sono potenzialmente pericolosi, ma non che cosa dobbiamo fare”. (ANSA).