ROSETO DEGLI ABRUZZI – Una profonda amarezza. È il sentimento scaturito in me nel leggere la replica alle dimissioni da consigliere comunale di William Di Marco da parte dei vari gruppi di maggioranza che sostengono il sindaco Mario Nugnes, i quali hanno fatto a gara per aggredirlo verbalmente. Una sequenza di parole infamanti con l’obiettivo di tentare di screditarlo, quasi a volerne distruggere l’immagine. Perché tutto questo? Perché tanta violenza verbale?
E’ un’aggressività apparentemente immotivata, scagliata all’indirizzo di un consigliere comunale, la cui unica “colpa” è stata quella di dimettersi. Un gesto forse incomprensibile per chi della politica fa la propria ragione di vita, ma che invece ha rappresentato la naturale conseguenza dopo mesi trascorsi a subire continui affronti istituzionali, motivati soltanto dalla logica dei numeri. Sì, è vero, William ha dimostrato di essere un avversario sotto il profilo politico. Ma non per questo è un nemico da abbattere. Allora perché tanta violenza nelle parole?
Situazioni simili, cioè davanti a un gesto così forte come le dimissioni, buona norma vorrebbe che chi resta commenti il commiato con frasi garbate, anche se solo di circostanza, ringraziando l’operato di chi ha scelto una via tanto insolita quanto sofferta. Come hanno fatto gli attuali rappresentanti dell’opposizione. Non è necessario che tali parole provengano dal cuore, non si chiede tanto a degli antagonisti, basta soltanto pronunciarle o scriverle. Neppure il silenzio, che avrebbe avuto il chiaro sapore di ostilità manifesta, sarebbe stato corretto. Ma da qui ad aggredire verbalmente, usando termini come “tradimento” ce ne passa! Allora mi chiedo ancora: perché? E una risposta me la sono data.
In genere quando si è in presenza di attacchi così diretti e, soprattutto senza un motivo visibile, la causa può essere una sola: la paura. Senza scomodare Freud, credo che siamo in presenza di un’inconscia reazione a uno stato di latente angoscia scaturita dalla consapevolezza di essere in presenza di un “altro da sé” migliore. Ecco quindi che alla prima occasione, ci si avventa su chi si volta di spalle per andarsene. Di sicuro l’annuncio di voler continuare l’attività politica dall’esterno nell’area liberaldemocratica non ha certo giovato a rasserenare gli animi di chi è restato in consiglio comunale. Un mix esplosivo, che si è tradotto inevitabilmente nell’aggressione verbale che tutti hanno potuto leggere sui giornali e sul web. Un’azione che si commenta da sola, ma che non giustifica il tacito assenso degli amministratori più giovani i quali, accettando le indicazioni dei più “esperti” colleghi, hanno dato una dimostrazione di scarso garbo e, soprattutto, una onestà politica assai limitata. Un esempio, il loro, che i rosetani hanno potuto toccare con mano in questa occasione e, forse, in molti di essi ha iniziato a insinuarsi il dubbio di aver lasciato Roseto in mano a persone che non ne conoscono la storia e che neppure hanno intenzione di impararla. Non solo per una cultura personale, indispensabile per chi ha deciso di amministrare una città, ma soprattutto per evitare errori madornali nell’assumere decisioni che i nostri padri non apprezzerebbero – Antonio Norante –