Ancora pochi giorni e poi il mandato rettorale del prof. Luciano D’Amico alla guida dell’Università di Teramo, andrà a naturale scadenza. È noto che già da giugno il corpo accademico, il Pta e le componenti studentesche abbiano scelto ed eletto il prof. Dino Mastrocola quale successore di D’Amico per i prossimi sei anni. Una scelta operata nella continuità a conferma della condivisa volontà di continuare a lavorare lungo il solco tracciato dall’economista di Torricella Peligna.
Senza dubbio, a prescindere dal calo del numero degli iscritti fatto registrare negli ultimi anni dalla sede teramana al pari comunque di altri importanti centri universitari della penisola a vocazione prevalentemente umanistica/tradizionale, il rettorato di D’Amico sarà ricordato come un periodo innovativo e di grande visibilità per il piccolo ateneo cittadino.
Il ruolo sempre più predominante sulla scena universitaria della Facoltà di Veterinaria, vero e proprio centro di eccellenza italiano; la presenza a Teramo di accademici e intellettuali di spicco e di valore in occasione dei tanti incontri di studio organizzati in questi anni; alcune ben calibrate e intelligenti lauree honoris causa conferite a personaggi di spicco del panorama nazionale, nonché le ottime performances a livello di didattica, di internazionalizzazione di e ricerca scientifica, sono tutti risultati ascrivibili al rettorato di D’Amico e molto spesso alla sua grande capacità visionaria.
Anche le sue proposte più ardite ma lungimiranti, come l’eliminazione di costose e fantasiose sedi distaccate o come quella della funivia destinata a collegare il centro di Teramo alle principali facoltà, proposta peraltro poi naufragata in Consiglio comunale in maniera frettolosa, rientrano perfettamente in quella innata propensione di D’Amico e del suo staff (il prof. Corsi in primis) a sapere guardare oltre il proprio piccolo orticello del presente e a voler creare un ponte concreto tra città e ateneo.
Eppure, nonostante le buone intenzioni, il rettore ha dovuto fare i conti con una città decisamente al collasso, frastornata dagli effetti nefasti del terremoto ma soprattutto ostaggio di una classe politica mentalmente vecchia e ancora troppo legata a quelle forme di cupidigia di servilismo che non possono che uccidere ogni forma di sviluppo. In giro, a livello accademico, nei convegni internazionali, quando si parla di Teramo il primo pensiero è al riconosciuto valore scientifico dell’Ateneo; il secondo alla evidente e dannosa scollatura esistente tra l’Ateneo e la città, quasi fossero due corpi estranei, quasi fossero due realtà incapaci di interagire. La scellerata ma interessata scelta di collocare la principale sede dell’Ateneo fuori dal centro, in una zona peraltro mal servita e per certi aspetti abbandonata al suo destino, ha impedito il decollo dell’Ateneo, ha penalizzato le attività commerciali e di ristorazione cittadine, ha bloccato il mercato degli affitti, ha impedito alla nostra piccola città di crescere anche grazie all’Università. Di tutto questo dovrà pur accorgersi un giorno la classe politica teramana, per certi versi rinnovatasi per altri ancora legata a vecchi di giochi di potere. Teramo deve tornare ad essere una cittadina capace di attrarre un giovane pronto a fare una scelta di vita, Teramo ha un bisogno matto di invertire la rotta, autodeterminandosi sempre più come città universitaria, quale ultima chance da cogliere al volo. Al sindaco, alla sua giunta, a tutti i consiglieri, alla vera intellighenzia cittadina, il diritto ma anche il dovere di fare scelte coraggiose, se necessario impopolari e sgradite ai poteri forti, ma senza dubbio innovative e necessarie per far ripartire Teramo prima che sia troppo tardi. Proprio come ha tentato di fare, purtroppo spesso invano, il “magnifico” Luciano D’Amico.
Luigiaurelio Pomante