Caro Alberto Sordi, altro che Fumo di Londra, lì sotto il Big Ben ieri sventolava alto uno sgargiante tricolore. Grande Italia. Matteo Berrettini, Gaia Sabbatini, Roberto Mancini. E’ il D-Day è l’Italia alza il tricolore. Calling Londra, parla l’Italia. Missione possibile: scacco alla Regina, tra un nuovo entusiasmo messo in circolo, e il feeling ritrovato della maglia azzurra con gli italiani.
Finale dell’Europeo segnato dal Covid, il primo itinerante, tra la retorica della ripartenza, stadi mezzi vuoti, mezzi pieni, ansie, sogni. Missione battere gli inglesi a casa loro. Se bisogna dar retta agli inglesi il calcio l’hanno inventato loro, allora Wembley è il reparto maternità del pallone, la cattedrale di una religione che ha fatto discepoli in tutto il mondo. “A Wembley batte il cuore del calcio”, ha detto una volta Pelè. Nel pentolone bollono allusioni, dietrologie, tesi complottistiche che al triplice fischio finale diventano fuffa, nella migliore delle ipotesi, o alibi, nella peggiore.
Una giovane ragazza di provincia corre, corre, corre forte, più forte delle altre e il cielo d’Europa si tinge d’azzurro e d’Abruzzo. E’ la figlia del mio amico Pinuccio, è Gaia Sabatini, atleta abruzzese che trionfa conquistando i 1500 negli europei under 23 a Tallin. Un successo straordinario che riempie d’orgoglio, non solo la nostra regione. Poi il “vecchiaccio” Gabriele “Cinghio” Tarquini che vince nella Gara-1 del terzo round del WTCR, in Spagna, sulla pista di Aragon.
A Wimbledon va in scena un 25enne, romano, un ragazzone che è già n.8 del tennis mondiale e che per la prima volta porta l’Italia in finale nel mondiale dei gesti bianchi.
Nella notte di Wembley, finalissima di Euro 2020 in un clima del clan azzurro di Roberto Mancini sempre all’insegna del calcio amore e simpatia contro la perfida Albione. Noi, nostalgici del Mundial ’82, questa notte abbiamo rivissuto con Mattarella, la stessa esultanza del presidente Pertini nella sua sobrietà istituzionale.
Atletica, tennis, calcio, siamo stati bravi. Il talento italiano torna in paradiso.
Lo avevo scritto alla vigilia di Euro 2020: questa Nazionale ha avuto la funzione di riunire un Paese che, come il resto del mondo, ha perso la serenità e la possibilità per il suo popolo di stare insieme. Sono bastate sei notti magiche, itineranti – da Roma a Monaco arrivando fino a Londra –, inseguendo un gol, per riscoprirsi comunità e ritrovare il gusto pieno della vita, che poi è l’arte dell’incontro per tutti i fratelli d’Italia. Terrazzi imbandierati, strade esondanti di una gioia incontenibile, bagni di folla nelle piazze e nelle fontane. Scene viste già nel ’68 e poi nelle due vittorie Mondiali di Spagna 1982 e Germania 2006. Ieri sera è stato un piacevole canovaccio che si è ripetuto. Un rito collettivo sempre uguale a se stesso. Cambiano le generazioni, ieri i sessantottini, poi gli yuppies e i paninari anni 80, e infine l’allegria – forse meno spensierata e fiduciosa di allora – degli odierni millennials. Genitori e figli uniti finalmente a cena, non più reclusi nelle loro stanze di giovani vite in Dad per colpa del Covid, per la partita di pallone. Tutti assieme appassionatamente davanti allo schermo per assistere alle imprese di Berrettini e dei ragazzi di Mancini. Ragazzi per lo più cresciuti in oratorio, come il loro ct che al suo fianco ha voluto il compagno di squadra di una vita, Gianluca Vialli, il bomber più forte di tutto, anche della malattia.
La forza dell’amicizia è il marchio di fabbrica di una Nazionale che ieri sera ha vinto anche per Leonardo Spinazzola, il fratello infortunato che sulla fascia ha danzato con la classe di un brasiliano e il cervello fine dell’italiano in gita. Sì, perché è forse la prima volta che abbiamo assistito a un esempio di come il professionismo serioso pallonaro si sia fuso con la leggerezza del piacere del gioco fine a se stesso. L’umiltà e la semplicità francescana di Jorginho, questo raro pensatore con i piedi è la stessa che si ritrova in tutti i 26 della Nazionale. Non c’è stato un attimo che non sia stato pienamente condiviso. A ogni gol ci siamo abbracciati tutti insieme a questi ragazzi. Mai come questa volta possiamo dire, fuori da ogni retorica, che è stato un successo. Lo diciamo con l’orgoglio e la consapevolezza di un Paese ritrovato, stretto ad un tricolore.